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Il caso di Patrizia



          «Conosco  la  sua  storia,  ho  letto  il  suo  libro  e  quello  che  racconta  mi  ha
          impressionato ma sono convinta che se le dico quello che due banche sono

          riuscite  a  farmi  sorprendo  anche  lei,  dottor  Imperatore.»  Patrizia  ha
          trentasei anni e una bimba di quattro. Attualmente fa la commercialista e
          l’amministratore  locale  in  un  piccolo  paese  della  Val  di  Cembra,  nella
          provincia  di  Trento,  la  patria  del  porfido.  La  incontro  la  prima  volta  a

          Padova nel gennaio del 2015, durante una presentazione del mio libro. In
          precedenza la donna aveva ascoltato un mio intervento alla trasmissione La
          Gabbia,  su  La7.  Vuole  mettermi  a  conoscenza  del  suo  caso  e  provare  a
          trovare insieme una soluzione.

              La  sua  disavventura  bancaria  inizia  nel  2006.  È  ancora  una  praticante
          quando il fidanzato di allora – titolare di una piccola impresa in difficoltà –
          chiede a un istituto del luogo, una di quelle casse rurali un tempo molto
          radicate sul territorio e attente agli interessi della comunità, un mutuo di

          130.000  euro  a  cui  si  aggiunge  un  fido  per  scoperto  di  conto  corrente  di
          50.000  euro,  entrambi  assistiti  da  garanzia  ipotecaria  su  un  immobile  di
          proprietà di Patrizia, ricevuto come donazione dai genitori. «Aspettavamo
          con ansia la fatidica chiamata. Una mattina squilla il cellulare: il direttore

          mi dice di andare di corsa da lui perché vuole illustrarci di persona il piano
          del  finanziamento,  e  noi  ci  precipitiamo.»  È  il  marzo  del  2006  e  «il
          direttore, al momento di siglare l’accordo, mi invita a firmare quale datrice
          di ipoteca. Io eseguo senza farmi domande».

              A ottobre dello stesso anno, il fidanzato di Patrizia diventa suo marito. È
          chiaro ed evidente che né il ragazzo, che ha bisogno di quei soldi per far
          ripartire l’azienda con debiti pregressi, né Patrizia, che di fatto non ha alcun
          potere decisionale all’interno dell’impresa e che all’epoca vive di un reddito

          da  borsa  di  studio  di  550  euro  mensili,  potrebbero  accedere  a  quel
          finanziamento.  Come  per  Alberto,  il  titolare  della  pompa  di  benzina  di
          Mondragone, di cui abbiamo parlato in precedenza, si tratta di un altro caso
          in  cui  si  configura  la  possibilità  di  imputare  alla  banca,  a  titolo  di

          responsabilità,  le  conseguenze  del  dissesto  provocato  dall’esercizio  di  un
          potere discrezionale nella concessione del credito.
              Eppure  che  cosa  succede?  «Nel  2007  –  prosegue  Patrizia  –,  presso  la
          stessa  banca  locale  ci  viene  concesso  un  mutuo  di  250.000  euro  che

          prevede un’ipoteca sempre sullo stesso immobile.» Un prestito trentennale
          che sarà destinato alla ristrutturazione della stessa abitazione, che a questo
          punto aumenta il proprio valore e la rendita. Passa qualche anno, Patrizia
          diventa commercialista e comincia a esercitare. Nel novembre del 2010, a

          seguito della crisi ormai imperante, suo marito «viene messo in sofferenza
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