Page 24 - Io vi accuso
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di finanza, in cui si faceva presente che, ad esempio, in una delle agenzie di
mia competenza era stata «effettuata un’importante operazione di euro
70.000 per conto di un tale di nome Xian [a questo seguono altri due nomi
che per tutelare l’identità non trascriviamo, nda] il cui nominativo e i
connotati facciali ricordano quelli di altri documenti che allego. Il soggetto
in questione sostiene non si tratti della stessa persona. Chiedo verifica».
E Xian non è il solo: è successo anche con i vari «Wang» e con i tanti
«Zhou», ma dall’alto è sempre arrivato l’ok a procedere, o meglio, non è
mai arrivato uno stop a procedere. Non solo. I cinesi da quelle parti
arrivano in banca con le buste piene di soldi. Una volta ho visto con i miei
occhi svuotare un sacco nero di plastica sulla scrivania di un collega: «Sono
40.000 euro» fa il commerciante orientale. In quel caso, come in tanti altri,
quando si domanda la provenienza di tutto quel denaro la risposta è
pressoché scontata: «È l’incasso del ristorante». E ancora, capita spesso
che i cinesi chiedano grosse somme in contanti per «acquistare nuovi locali
e aprire nuove attività». Prestiti da 20-30.000 euro anche più volte a
settimana. Ogni tanto poi mi divertivo a visitare qualche loro negozio, a
volte mi riconoscevano ed erano sempre molto cordiali. Quando compravo
qualcosa e chiedevo lo scontrino al massimo emettevano un pezzo di carta
da una calcolatrice elettronica: insomma, tutto fuorché una ricevuta fiscale.
Sempre con estrema tranquillità e un gran sorriso disegnato sulle labbra.
In casi come i due appena esposti viene inviata subito una segnalazione
all’ufficio centrale della banca. Ma quante di queste segnalazioni arrivano
all’ufficio centrale alla Guardia di finanza? Difficile stabilirlo ma sta di fatto
che dal 2009 al 2012 in quei locali e a quei clienti i militari non hanno mai
fatto «visita». Non ho avuto notizia di un solo controllo per certificare la
provenienza del denaro. Ne sono certo poiché quando scatta la verifica dei
finanzieri, i funzionari della banca vengono contattati per fornire gli
estremi del cliente segnalato. Eppure, nel 2011, da un’indagine
dell’Associazione dei contribuenti risulta che solo in quel quartiere
«esistono ben 9300 imprese, tra ditte individuali, società di persone e di
capitali, su un totale di 15.000 e la gran parte di queste sono riconducibili a
imprenditori cinesi, che, gestendole tramite prestanome, non pagano
regolarmente le tasse». Per non parlare di città come Prato, in cui vive la
più grossa comunità orientale d’Italia, dove «su un campione di cento
dichiarazioni dei redditi presentate da confezionisti cinesi per il 2010 è
emerso che a fronte di 200.000 euro di imposte da pagare, l’Agenzia delle
entrate non ha riscosso nulla».
Le banche non possono negare la complicità con i clienti cinesi. Scrive il
«Corriere della Sera» in data 22 giugno 2015 a proposito di un’inchiesta
condotta dalla Procura di Firenze sulla filiale milanese di Bank of China: