Page 21 - Io vi accuso
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Il più debole paga



          L’antiriciclaggio,  è  inutile  negarlo,  rappresenta  una  nota  dolente  per  gli
          istituti  di  credito.  La  legge  in  materia  è  stata  promulgata  per  limitare  la

          circolazione di contanti provenienti da attività illecite. In primis si pensava
          a quelle riconducibili alle organizzazioni di stampo mafioso ma in seguito il
          concetto di «illecito» si è allargato e ha compreso anche l’evasione fiscale.
          Dal  primo  gennaio  2014  –  data  in  cui  entrano  in  vigore  i  nuovi

          adeguamenti della Banca d’Italia al decreto legislativo sull’antiriciclaggio, il
          231 del 2007 – c’è l’obbligo da parte delle banche di effettuare segnalazioni
          per  tutte  le  operazioni  sospette  all’Ufficio  italiano  finanziario  (Uif),
          organismo della Guardia di finanza. Per fare chiarezza è meglio spiegare in

          parole semplicissime cosa significhi «operazione sospetta». Immaginiamo
          che io abbia una pizzeria e che secondo gli studi di settore debba incassare
          una  media  di  500  euro  al  giorno.  Mettiamo  anche  che  io  quei  soldi  li
          depositi quotidianamente sul mio conto corrente.

              La  volta  che  dovessi  fare  un  versamento  di  3000  euro,  l’operatore
          dovrebbe  subito  insospettirsi.  Sarà  tenuto,  infatti,  a  chiedermi  da  dove
          provenga quel denaro. Se io gli rispondessi, ricevute alla mano, che la sera
          prima ho organizzato una festa con tantissimi coperti potrebbe anche darsi

          che la cosa si risolva subito, ma se la motivazione dovesse risultare poco
          convincente  il  funzionario  avrebbe  tutto  il  diritto  di  far  partire  la
          segnalazione,  anzi,  ne  avrebbe  l’obbligo,  altrimenti  potrebbe  incappare  in
          sanzioni penali.

              Il problema di fondo, lo si deduce dalle storie appena raccontate, è che
          alle  banche  conviene  segnalare  per  lo  più  i  clienti  meno  «vantaggiosi»,
          quelli con meno giro di denaro: in sostanza la stragrande maggioranza delle
          imprese e delle famiglie e non chi realmente sta commettendo un illecito.

              Piero  è  un  piccolo  commerciante  operante  in  una  zona  alle  porte  di
          Napoli, un agglomerato di pochi comuni con una popolazione complessiva
          che supera i centocinquantamila abitanti. Inutile dire che si tratta di una
          zona  molto  disagiata  della  provincia  partenopea.  Da  quelle  parti  bar,

          ristoranti,  negozi  sono  monitorati  perché  rappresentano  le  cosiddette
          «lavanderie» di soldi sporchi. Piero, tuttavia, con la criminalità organizzata
          e  il  riciclaggio  non  ha  nulla  a  che  spartire:  si  è  soltanto  limitato  per  un
          periodo a gestire un piccolo bar della periferia.

              Quando  comincia  l’attività,  il  ragazzo  apre  anche  un  conto  corrente  in
          una banca della zona su cui, a cadenza di due volte a settimana, versa circa
          200  euro.  «Ho  sempre  avuto  un  giro  d’affari  ristretto,  lavoravo  in  un
          quartiere  difficile  dove  non  c’è  stato  mai  passaggio  di  gente.  Insomma,  i

          soliti  quattro  vecchietti  affezionati»  mi  racconta.  «La  segnalazione
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