Page 16 - Io vi accuso
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Anni fa, quando ero interno al sistema, alla nostra banca, a seguito della

          fusione con un altro istituto di credito da sempre vicino al Vaticano, venne
          imposto  che  la  gestione  dei  patrimoni  delle  arcidiocesi  e  dei  principali
          esponenti del clero campano fosse affidata a un nominativo indicato dalla

          stessa  curia  partenopea.  Insomma,  si  erano  scelti  il  referente  interno,  il
          proprio personal banker, il cui stipendio era però pagato dalla banca. Se ci
          fossimo  rifiutati,  dicevano  dall’alto,  «avremmo  perso  clienti  d’oro»  e  di
          conseguenza «avremmo rinunciato a benefit e premi».
              C’era  un  solo  dipendente  –  tra  l’altro  diacono  e  «intimo»  degli  alti

          esponenti  della  curia  –  che  poteva  interfacciarsi  direttamente  con  il
          vescovo.  Io  ero  il  suo  capo,  un  vero  paradosso  perché  rispetto  a  lui,  in
          questo ambito, contavo poco o nulla. Ho visto conti correnti dell’arcidiocesi

          a  sei  cifre  non  giustificabili  con  le  donazioni  dell’8  per  mille.  Ho  visto
          bonifici  di  300.000  euro  eseguiti  su  conti  di  preti  di  provincia,  che
          puntualmente non segnalavamo all’antiriciclaggio. Alcuni di loro andavano
          e venivano in banca anche due, tre volte al giorno. Ho visto sacerdoti che
          facevano  vero  e  proprio trading  finanziario:  entrate  di  grosse  somme,

          sottoscrizioni di titoli e fondi, vendite che fruttavano altri soldi. E lo stesso
          succede  ancora  oggi.  Se  un’operazione  simile  la  facesse,  ad  esempio,  il
          titolare  di  un’autofficina,  dopo  tre  ore  avrebbe  gli  elicotteri  sopra  la  sua

          casa con i mitragliatori puntati.  In questo caso, invece, nessun controllo:
          alle banche conviene tacere e incassare.
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