Page 80 - A spasso con Bob
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Sam di turno, le chiedevo il favore di acquistarmi dieci copie sulla parola, con la
promessa di restituirle i soldi appena possibile. Sapevo che era una procedura
abbastanza usata e anche che lei accettava volentieri se si fidava del venditore. Nel
giro di un paio d’ore ero tornato a saldare il mio debito anche perché sapevo che
quei soldi uscivano dalle tasche di Sam e non da quelle dell’editore. Avevo poi
riacquistato altre copie e mi ero rimesso in pari.
A essere sincero stavo guadagnando meno di quando suonavo in strada, ma era un
sacrificio che valeva la pena di fare perché adesso avevo un lavoro regolare. Se un
poliziotto mi fermava, tiravo fuori il mio cartellino e lui mi lasciava in pace e non
era una cosa da poco dopo quello che avevo passato.
I giorni del mio periodo di prova scorrevano veloci mentre lavoravo davanti alla
stazione del metro. Per certi versi attiravamo l’attenzione più o meno dello stesso
genere di persone di quando ero un musicista di strada: molte donne, non più
giovanissime, turisti e un gran numero di soggetti tra i più disparati.
All’inizio dell’autunno del 2008 a fermarsi fu un personaggio molto appariscente
con i capelli biondo platino, jeans firmati, giacca di pelle all’ultimo grido e un paio
di stivali alla cowboy. Ero abbastanza sicuro che si trattasse di una rockstar di
oltreoceano, ne aveva tutta l’aria.
Stava camminando quando aveva notato Bob. Si era fermato e, con un accento
americano, mi aveva detto: «Che micio fantastico».
Aveva un aspetto decisamente familiare ma non riuscivo a inquadrarlo. Morivo
dalla voglia di saperlo, ma mi sembrava scortese domandarglielo e per fortuna tenni
la bocca chiusa.
Dopo qualche minuto di coccole, la misteriosa star mi chiese: «Da quanto tempo
ce l’ha?»
«Mi faccia pensare», risposi contando mentalmente i mesi, «ci siamo incontrati la
primavera scorsa, quindi è esattamente un anno e mezzo.»
«Sembrate due anime gemelle», commentò, «come se uno appartenesse all’altro.»
«Grazie», risposi, continuando però a frugare nella memoria per accoppiare quel
volto a un nome. Prima che mi decidessi a chiederglielo, lui guardò l’orologio
esclamando: «È tardissimo, devo proprio andare ci vediamo ancora», e nel dirlo
infilò la mano nella tasca della giacca e tirò fuori un rotolo di banconote da cui sfilò
dieci sterline.
«Dammi una copia del giornale, ma non voglio il resto», e poi aggiunse: «Passate
una buona giornata».
«Sicuro!», risposi.
Inevitabilmente, lavorando fuori della stazione della metropolitana, mi capitò di
incrociare lo sguardo schifato di qualche controllore, ma non ci feci caso e così non
ebbi problemi. E poi erano non più di due, tre al massimo ad avercela con me, il
resto era brava gente che faceva soltanto il suo dovere.
Non eravamo passati inosservati neanche fra i nostri colleghi che lavoravano in