Page 83 - A spasso con Bob
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                                                 Una breve malattia
             L’AUTUNNO arrivò freddo e uggioso e gli alberi persero le foglie per il forte vento
          e i violenti acquazzoni. Quella mattina, quando Bob e io ci allontanammo da casa per

          prendere  l’autobus,  il  sole  era  un  lontano  ricordo  e  una  pioggerellina  insistente
          bagnava le strade.
             A Bob la pioggia non era mai piaciuta, quindi pensai che fosse quello il motivo
          per cui si muoveva così lentamente sul vialetto.  Poggiava una zampa dopo l’altra

          come al rallentatore e mi venne da pensare che forse era uscito di controvoglia e che,
          al contrario, avrebbe preferito restare a casa al calduccio. È opinione comune che i
          gatti  sentano  prima  degli  uomini  l’arrivo  del  cattivo  tempo  e  sicuramente  c’è
          qualcosa  di  vero.  Quando  alzai  gli  occhi  al  cielo,  vidi  grosse  nubi  minacciose

          sovrastare  Londra  come  una  gigantesca  astronave.  La  giornata  non  sarebbe  certo
          migliorata e probabilmente di lì a poco sarebbe scoppiato un temporale. Forse Bob
          aveva ragione a voler restare a casa e per un attimo pensai anche di tornare indietro.
          Poi, però, feci due conti: la settimana volgeva al termine e dovevamo incassare per
          affrontare  le  spese.  O  mangi  questa  minestra  o  salti  dalla  finestra,  mi  dissi  in

          silenzio, ricorrendo a un vecchio proverbio.
             Non ho mai fatto salti di gioia a lavorare in strada, ma quel giorno mi sembrava
          ancora  più  pesante.  Bob  continuava  a  muoversi  a  passo  di  lumaca  e  ci  vollero

          diversi minuti per percorrere poche centinaia di metri.
             «Dai, vecchio mio, monta su», lo invitai a un certo punto mettendomelo in spalla.
             La pioggia nel frattempo aveva cominciato a cadere forte e, mentre mi avviavo
          alla fermata, camminavo rasente il muro per sfruttare ogni possibile riparo. Quando
          però salimmo sul mezzo pubblico, mi resi conto che il mio micio non era soltanto un

          po’  giù  di  corda,  aveva  decisamente  qualcosa  di  più  serio.  Di  solito  il  tragitto
          sull’autobus rappresentava la parte preferita della sua giornata. Bob era curioso e
          non si stancava mai di guardare fuori dal finestrino, ma stavolta non aveva neanche

          voluto  occupare  il  sedile  accanto  al  mio  per  accostare  il  muso  al  vetro  e,  al
          contrario, mi si era acciambellato in grembo. Sembrava stanco, ogni parte del corpo
          comunicava  uno  stato  di  affaticamento.  Aveva  gli  occhi  insonnoliti  e  semichiusi
          come se si fosse appena svegliato… no, non stava niente bene.
             Una  volta  scesi  dall’autobus  in  Tottenham  Court,  le  sue  condizioni  sembrarono

          peggiorare.  La  pioggia  era  diminuita  e  io,  cercando  di  evitare  le  pozzanghere  e
          facendomi largo tra gli ombrelli aperti, ero riuscito a imboccare Neal Street. Mi ero
          però reso conto che Bob, ancora sulla spalla, si comportava in maniera strana. Non

          era tranquillo come al solito, ma continuava a muoversi e ad agitarsi.
             «Ehi, amico, tutto bene?» gli chiesi rallentando il passo.
             Improvvisamente  Bob  cominciò  a  dibattersi  e  poi  emise  strani  rumori  soffocati
          come se qualcosa gli ostruisse la gola. Compresi che voleva scendere e lo appoggiai
          subito  a  terra  e  prima  che  riuscissi  a  inginocchiarmi  al  suo  fianco,  cominciò  a
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