Page 84 - A spasso con Bob
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vomitare. Dalla sua bocca non usciva niente di solido, soltanto bile, e i conati erano
continui. Vedevo il suo corpo contrarsi nello sforzo di rimettere tutto quello che
aveva in corpo e lo faceva stare male.
Per un attimo mi domandai se fosse accaduto per colpa mia: forse il continuo
zigzagare per evitare le pozzanghere e gli ombrelli lo aveva disturbato durante la
digestione. Ma non poteva essere stato solo per quello, perché il vomito era troppo
forte. Molto probabilmente doveva aver cominciato a sentirsi male già a casa, prima
di uscire. Forse aveva mangiato qualcosa di strano mentre faceva i suoi bisogni
nell’aiuola… Anche il viaggio in autobus doveva essere stato una sofferenza e mi
rimproverai per non averlo capito subito.
È incredibile come si reagisce in situazioni simili. Mi stavo comportando come un
qualsiasi genitore in pena per il proprio figlio. Forse questa mattina ha mangiato
qualche cosa andata a male? È malato? Oddio, magari sta morendo… Avevo sentito
storie di gatti che erano deceduti all’improvviso davanti ai loro padroni per aver
bevuto un detergente o erano morti soffocati dopo aver ingerito un pezzo di plastica.
Per un microsecondo l’immagine di Bob morto mi attraversò la testa, ma cercai di
restare calmo il più possibile e di porre un freno all’immaginazione.
Dai, James, mi dissi facendomi coraggio, controllati.
Quando si vomita tanto ci si disidrata e si può compromettere la funzionalità degli
organi, così decisi che dovevo comprare del cibo, possibilmente non secco, e
soprattutto dell’acqua in bottiglia.
Lo sollevai delicatamente da terra e tenendolo in braccio mi avviai verso il
supermercato. Non avevo molti soldi, ma abbastanza per comprare una pappa a base
di crema di pollo, che a Bob piaceva tantissimo, e dell’acqua minerale. Non volevo
correre il rischio che bevesse da una pozzanghera e compromettesse ulteriormente le
sue condizioni.
Con i miei acquisti raggiunsi il mio posto in Covent Garden. Sistemai Bob sullo
zaino e versai i bocconcini e l’acqua nelle ciotole. Di solito si sarebbe buttato a
pesce, ma non stavolta. Si alzò a stento e con una certa fatica mosse qualche passo,
rimase a guardare la ciotola e, finalmente, si decise ad avvicinarsi al cibo. Mangiò
pochissimo, altro brutto segno che mi gettò ulteriormente nel panico. Bob non aveva
mai mostrato segni di inappetenza e questa era una prova inconfutabile della sua
malattia.
Cominciai a vendere i giornali come un automa: avevamo bisogno di soldi,
soprattutto se c’era bisogno di un veterinario e di acquistare delle medicine. Ma non
ci stavo né con la testa né con il cuore. Ero più impegnato a tenere d’occhio la mia
palla di pelo che a catturare l’attenzione dei passanti.
Dopo due ore decisi che non valeva la pena continuare, considerate le scarse
vendite, e che era meglio tornare a casa. Bob non aveva più vomitato, ma era molto
mogio e io desideravo soltanto riportarlo al caldo e all’asciutto.
Fino a quel momento ero stato fortunato perché da quando lo avevo preso sotto la