Page 106 - A spasso con Bob
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presenza quasi assillante.  Come la volta in cui giacevo fermo immobile nel letto,

          cercando di estraniarmi dal resto del mondo, e lui improvvisamente mi era balzato
          sulla coscia e mi aveva conficcato le unghie nella carne.
             «Bob,  che  cavolo  fai?»  gli  avevo  urlato  contro,  lui  era  sobbalzato  e  io  mi  ero

          sentito  subito  in  colpa.  Molto  probabilmente  si  era  preoccupato  perché  non  mi
          muovevo e voleva soltanto accertarsi che fossi ancora vivo.
             Alla fine una luce grigia e densa iniziò a filtrare dalle persiane, segnalando che
          era finalmente mattino.
             Mi  buttai  giù  dal  letto  e  guardai  l’orologio:  erano  quasi  le  otto.  Sapevo  che

          l’ambulatorio avrebbe aperto un’ora più tardi e che non c’era più molto da aspettare.
             Mi  sciacquai  la  faccia  con  dell’acqua  fresca  e  mi  fece  uno  strano  effetto  sulla
          pelle.  Mi  guardai  nello  specchio:  ero  pallido,  l’espressione  tirata,  i  capelli

          appiccicaticci, ma non potevo certo preoccuparmi del mio aspetto con tutto quello
          che mi stava succedendo. Mi vestii in fretta e mi precipitai alla fermata dell’autobus.
             A quell’ora del mattino il tratto che separava Tottenham da Camden era sempre un
          incubo, ma quel giorno mi sembrò peggio del solito. I semafori non scattavano mai,
          le strade erano completamente intasate dal traffico. Sembrava un viaggio all’inferno!

             Mentre  sedevo  in  autobus,  continuavo  a  sudare  e  a  tremare,  avevo  ancora  gli
          spasmi alle gambe, ma per fortuna meno forti di qualche ora prima.
             La  gente  mi  guardava  come  se  fossi  uno  svitato,  probabilmente  anche  per  via

          dell’aspetto  orribile,  ma  non  potevo  farci  niente  e  non  mi  interessava  che  cosa
          pensassero di me. Il mio obiettivo era arrivare al centro prima possibile. Erano le
          nove  passate  quando  entrai  nell’ambulatorio  e  la  sala  d’aspetto  era  già  piuttosto
          piena. C’erano anche due persone che sembravano sconvolte tanto quanto me e in
          silenzio mi domandai se anche loro avevano vissuto quei due giorni di inferno.

             «Ciao  James,  come  ti  senti?»  mi  chiese  il  medico  di  turno  quando  entrai  nello
          studio.  Bastava  un’occhiata  per  capirlo,  ma  apprezzai  comunque  il  suo
          interessamento.

             «Non troppo bene, direi», risposi.
             «Sei  riuscito  a  superare  le  quarantotto  ore  e  questo  è  un  grande  successo»,  mi
          disse con un ampio e sincero sorriso. Mi visitò, mi prescrisse un esame delle urine,
          mi  diede  una  compressa  di  Subutex  e  compilò  la  ricetta  per  il  nuovo  farmaco.
          «Questa ti farà stare meglio», continuò. «Ti aiuterà a rilassarti.»

             Mi fermai in ambulatorio ancora un po’ per accertarmi che il nuovo medicinale
          non avesse qualche strano effetto collaterale. Al contrario, mi sentii subito meglio e
          una volta arrivato a Tottenham mi sembrava di essere un altro.

             A  differenza  di  quanto  mi  succedeva  con  il  metadone,  adesso  il  mondo  mi
          appariva in una dimensione diversa. I sensi, la vista, l’udito e l’olfatto, erano più
          acuti  di  prima:  vedevo  i  colori  più  brillanti,  sentivo  i  rumori  meno  attutiti  e
          percepivo gli odori più distintamente. Era una sensazione strana, come se fossi più
          vivo.
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