Page 265 - La cucina del riso
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Abruzzo
nulla stemperate sia da dichiarazioni favorevoli, ovviamente di parte, come
dall’utilizzo di un diverso cultivar, ossia il tipo “cinese”, detto anche “sec-
co”, che richiedeva solo un’irrigazione. Tali antiche e latenti tensioni entre-
ranno nel vivo nella prima metà del 1800, periodo che vede quella società
contadina estremamente emarginata e, inoltre, sclerotizzata in un globale
contesto territoriale e ambientale abbastanza sfavorevole ove le valenze
sociali ed economiche, con complicanze igienico-sanitarie negative, se non
addirittura disastrose, recitavano un ruolo preponderante.
A sancire, dunque, la scomparsa di un’economia non certo remunerati-
va e fiorente ma comunque presente sul territorio, saranno decisivi due fat-
tori: le eccessive difficoltà create dalla legislazione e dall’opinione corrente
in merito alla relazione presupposta, forse intuita e non provata, tra malattie
malariche e coltivazione del riso; la nuova situazione politica che si viene
a delineare con la creazione del Regno d’Italia e l’abolizione di ogni tassa
doganale all’interno della nuova realtà nazionale.
La liberalizzazione, conseguente, dei commerci renderà, così, più
economicamente competitivi alcuni prodotti di largo consumo, e in que-
sto caso il riso, coltivato nelle ampie risiere del Nord Italia. Per valutare
il perché di questa asserzione, occorre considerare come il dilatamento
dei confini del governo sabaudo sull’ampio territorio dell’Italia centro-
meridionale, e che nei fatti sostituirà quello borbonico, comporterà anche
l’abolizione delle vecchie dogane e, quindi, la concorrenza di un più pre-
giato e abbondante identico prodotto, essenzialmente proveniente dalle
estese risaie piemontesi e lombarde. Una globalizzazione ante litteram,
che ha reso non più conveniente, e politicamente inopportuna, quella
deprecata e temuta tipologia di coltivo.
Così, in un periodo certo non definibile con esattezza ma che possiamo
tentare di collocare nella seconda metà del XIX secolo, si pone rapidamente
fine a questa pratica di coltivazione, senza che null’altro rimanesse a testi-
moniarla sul territorio se non un sempre più labile ricordo nelle popolazioni
locali e i documenti di archivio.
Scompare un paesaggio peculiare, ecco il perché di una definizione,
ossia quella del “paesaggio effimero”, ben localizzato sotto il profilo territo-
riale, e che non più troverà riscontri né nella morfologia né nella tradizione,
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