Page 96 - Sotto il velame
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ce fu a lui veicolo, come al Possente. Egli vive, per il fatto che è
morto. Virgilio invece, corporalmente morto e non più che ombra
o spirito, attraversando l'Acheronte non faceva se non quello che
aveva già fatto la prima volta, quando lasciò il suo corpo a Bran-
dizio: non faceva se non morire della seconda morte. Onde la sua
angoscia, per sè e per gli altri.
Or noi dobbiamo fermare nel pensiero questo fatto. Dante mo-
rendo della morte mistica, per cui si acquista il lume e il libero
volere, viene a trovarsi tra quelli che di quella morte mistica non
vollero (ma quasi involontariamente, poveri bimbi, miseri spiriti
magni!) non vollero morire, e perciò morirono poi della seconda
morte. Dante, dunque, muore la morte, o vogliam dire mortifica
in sè, la morte dei dannati che visita. Ciò almeno nel primo cer-
chio; e anche nel vestibolo, dove mortifica la viltà, che è quella
mezza vita e mezza morte de' non mai vivi e disperati di morire.
Ciò almeno nel vestibolo e nel limbo. O sempre? per tutto l'in-
ferno? Pensiamo alla grande divisione: tenebra, ombra della car-
ne, veleno.
Il lume che non è lume, anzi è tenebra, è per certo il fuoco che
non impedisce che il luogo ove raggia, non sia di tenebre; è la sa-
pienza e scienza, qual fu di Aristotile e di Plato e di molti altri,
che non adorarono Dio debitamente; sapienza e scienza che non
venivano dal sereno, e non erano perciò luce, ma tenebra. E l'om-
bra della carne e l'oscurarsi di quel lume per via della concupi-
scenza. E il veleno è il corrompersi di quel lume, in modo che
volga al male chi lo ha, invece di dirigerlo al bene: ed è la mali-
zia.
Ora noi vediamo che Dante con aperte parole dice di morire
anche avanti la concupiscenza e anche avanti la malizia; di morire
di quella morte che è un rivivere, e che quindi non sapremmo dire
se sia vita o morte. Non sapremmo dir noi, nè sa dir esso, il poeta.
Chè avanti il simbolo più comprensivo della malizia, avanti a
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