Page 80 - Sotto il velame
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Ora se chi muore, prima era vivo, anche chi rinasce, doveva
prima essere morto. Questo noi dobbiamo aspettarci che Dante
dica di sè, se ciò che dimostrai vero, è vero. Ebbene sì, Dante pri-
ma d'uscir dalla selva, la quale è uguale al vestibolo, era morto, o
quasi morto. La selva
tanto è amara che poco è più morte.
E abbiamo spiegato perchè egli era quasi morto, non morto del
tutto. Egli aveva avuto il lume di grazia, e questo di quando in
quando tornava a splendere per lui. E così quelli del vestibolo il
lume l'ebbero, se il volere non lo vollero avere; e sono perciò an-
ch'essi quasi morti, non al tutto morti. Difatti invocano la morte.
Ma vivi del tutto non sono per ciò, che la loro vita è cieca e bassa.
Ma una differenza è pur essenziale tra l'errante nella selva e i
correnti nel vestibolo. Questa: che l'uno è corporalmente vivo, gli
altri sono corporalmente morti. Or la morte che Dante patisce
dentro la selva è una quasi morte dell'anima, come quella che
hanno gl'ignavi. Che cosa libera l'uno e che cosa libererebbe gli
altri da questo destino, da questa quasi morte? Il passo della selva
e il passo dell'Acheronte. L'uno, con esso, muore alla morte, cioè
rinasce alla vita; gli altri avrebbero quella che invocano, la secon-
da morte. L'Acheronte, per uno corporalmente vivo, è la morte
mistica, ossia la rinascita; per uno corporalmente morto, è la mor-
te spirituale. Chi lo passa muore; se è corporalmente vivo, alla
morte; se è corporalmente morto, della morte: alla morte e della
morte seconda.
Gl'ignavi, se volevano morire di quella morte mistica che è
morte alla morte e nascita alla vita, dovevano, quando erano vivi,
uscir dalla selva, dove chi si aggira è come morto, e vive non
vivo. Ma essi, no, non furono mai vivi, e si aggirarono sempre per
la selva, in cui era bensì luce, e luce di luna piena, ma quale essi
non usarono per uscire dai pruni della servitù. Non vollero essi
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