Page 395 - Sotto il velame
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III.
MATELDA
Deh! bella donna, ch'ai raggi d'amore
ti scaldi, s'io vo' credere ai sembianti
che sogliono esser testimon del core,
vegnati voglia di trarreti avanti... 1113
e di palesarmi il tuo vero nome, o tu che hai quello di Matelda,
nella bocca di Beatrice; e nella mente di Dante, qual altro? Un
nome molto augusto, molto lieto, molto forte. Il vulgo ne fa stra-
zio, mettendolo al suo ozio ambizioso e irrequieto, alla sua la-
droncelleria, alla sua gola di parer quel che non è e diverso tutto
da quel ch'è. Ma a me suona soave e possente, perchè tu a me non
esprimi cosa differente dalla vergine natura che fa così bene e fa
così bello, e con grande gioia e senza cercar gloria; e non esprimi
cosa diversa dal lavoro che bea e non bea nel sabato soltanto. Ma-
telda soletta che canti, come innamorata, e scegli fior da fiore tra i
tanti e tanti che pingono la tua via, che sei così lieta nelle opere
delle tue mani, che immergi nel Letè che purifica, che conduci al-
l'Eunoè che ravviva, Matelda, figlia della natura e gioconda del
tuo lavoro, tu ti chiami «ars».
La fonte ci parla di giustizia che per sè non s'ama, perchè è
piena d'un travaglio di azioni e di passioni; parla d'una «pazienza
della fatica, tolerantia laboris», che a noi è disposata dopo sette
anni di servaggio. In vero Lia che appare in sogno a Dante, prean-
nunziando la canora coglitrice di fiori, è la «faticante»; è il sim-
bolo della vita attiva che nella giustizia si assomma. E Matelda è
l'imagine di tal simbolo: sta a Lia, come Beatrice a Rachele. Dun-
que Matelda è la vita attiva, è la fatica, è la giustizia? Non pro-
priamente. Lia che appare in sogno è una Lia che si specchia,
1113 Purg. XXVII 43 segg.
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