Page 257 - Sotto il velame
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E forse egli pensava anche alle «Scille biformi»   che sono
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           nello stesso verso coi Centauri. Chè Servio lo rimandava ai «bu-
           colici carmi», e là trovava che Scilla  «lacerava coi cani marini
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           gli spauriti navichieri». Le nere sue cagne, nel fatto, «dilacerano»
           a brano a brano; e quelli che esse inseguono, fuggono forte avanti
           loro e s'appiattano . Timidi sono, per certo. E anche così sareb-
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           bero, codeste cagne, «biformi».
              Sicchè le nere cagne non contradicono alla legge che possiamo
           scorgere, per la quale i mostri del cerchietto dei violenti sono bi-
           corpori o bimembri o biformi. Perchè, se non per ciò che il pecca-
           to ivi punito ha, oltre l'incontinenza, ossia il predominio dell'ap-
           petito, anche il mal volere? Dal quale accoppiamento si forma un
           qualche cosa che non è più di bestia a dirittura e pur nemmeno
           d'uomo; un qualche cosa che non poteva essere meglio significato
           che dai Centauri e dalle Arpie; i quali e le quali hanno umana una
           parte del loro corpo, eppure sono fiere ed uccelli. E si può vedere
           che le nere cagne Dante non le ha meglio descritte perchè, in fine,
           una parte umana difficilmente poteva lor concedere.
              Ed ecco sull'orlo una faccia d'uomo giusto. Si vedono però due
           branche pilose al suo busto. «Le dure setole per le braccia fanno
           mostra di animo atroce», dice Giovenale . E le branche non
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           sono d'uomo, ma di bestia. A veder quella faccia e quelle branche,
           si direbbe subito che quel mostro non differisce in nulla, per
           esempio, dalle Arpie che hanno ale e visi umani ; se non in que-
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           sto, che l'uno è più atroce e le altre più volastre. Sicchè, per quel
           che si vede, il mostro ha depravata la volontà e lo appetito; la vo-
           lontà che è solo dell'uomo, l'appetito, che è anche delle bestie, e
           che nell'uomo è come di bestia, se non è sommesso alla ragione.
           Ma già Virgilio ha gridato a Dante:

           678   Aen. VI 286.
           679   Ecl. VI 77.
           680   Inf. XIII 128, 116, 127.
           681   Inf. XVII 10 segg. Dante lo leggeva nel Moralium dogma, questo verso.
           682   Inf. XIII 13.


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