Page 222 - Sotto il velame
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o ingiustizia, è bestialità; ma che la bestialità tipica è quella ap-
punto dei tiranni, che primi Dante vede nella riviera di sangue. E
troviamo in quel passo il leone, che può benissimo essere il nesso
che nel pensiero di Dante collegò la vis Ciceroniana con la bestia-
lità Aristotelica. A proposito di questa il filosofo osserva: «chi ha
fatto più mali, tra un leone e Dionisio o Falari e Clearco e simili
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malvagi uomini?» Dove è da osservare che dopo Alessandro,
nell'enumerazione che fa il Poeta, dei tiranni, è Dionisio fero:
fero, cioè bestiale; chè feritas trovava egli per bestialità a ogni
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tratto . Or quando si pensi che la violenza è la prima specie del-
l'ingiustizia, si troverà che certamente egli la chiama ancora be-
stialità, da chi consideri queste parole: «Il nome di sevizia e ferità
si intende dalla somiglianza delle fiere che si dicono ancora sae-
vae. Chè siffatti animali nocciono agli uomini, per pascersi de'
loro corpi, non per alcuna causa di giustizia, la cui considerazione
pertiene alla ragion sola. E perciò, a parlar propriamente, ferità o
sevizia si dice secondo che alcuno, nel punire, non considera la
colpa di colui che è punito, ma solamente questo, ch'e' si diletta
nel tormentare gli uomini. E così è palese che è una specie di be-
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stialità; chè tale diletto non è umano, ma bestiale». E s'aggiun-
ge, che questa ferità o sevizia non si oppone a clemenza, ma a
quella sopraeccellente virtù che il filosofo chiama eroica e divina.
Bestialità è dunque la prima specie d'ingiustizia; e perciò i tiranni
e i masnadieri che scannarono e taglieggiarono non solo sono i
primi che si vedano, ma sono in Flegetonte. Questo è il fiume che
corrisponde alla rovina guardato dalla «ira bestiale». Or negli altri
due fiumi del peccato attuale, sono puniti i rei della sorta più rea
della disposizione. Lo Stige nel suo fango invischia gl'incontinen-
ti d'irascibile, il Cocito nel suo ghiaccio serra i fraudolenti in chi
si fida. Abbiamo visto che degl'incontinenti i peggio trattati sono
546 Magn. Mor. II 7, 33.
547 Per es. Summa 2a 2ae 159, 2. E vedremo in Seneca.
548 Summa 2a 2ae 159, 2.
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