Page 168 - Sotto il velame
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tre cose: che il genere umano fu redento, ossia che fu liberato il
volere e riaperta la fonte del meritare; che vana fu per molti o per
i più la Redenzione, sì che molti o i più devono nell'inferno patire
il grave dolore, peggior d'ogni tormento, di vedere d'aver facil-
mente potuto, e non poter più, salvarsi; che, per la Redenzione,
chi vuole, fin che è corporalmente vivo, può fare quello che il Re-
dentore, scendere com'esso per salire, e morire per vivere. Le ro-
vine hanno lo stesso significato? Sì. Per il primo punto, osservo
che le rovine furono causate dal tremuoto, dirò così, della reden-
zione: da quel tremuoto che si rinnova, a figurare l'antico, nel
passaggio che Dante fa dell'Acheronte; per il secondo, che i pec-
cator carnali 398
quando giungon davanti alla ruina,
quivi le strida, il compianto e il lamento,
bestemmian quivi la virtù divina;
quanto al terzo, che Dante scende probabilmente per la prima ro-
vina; e prende via certamente per la seconda e per la terza; come
è entrato dalla porta senza serrame.
II.
Il camminare, dunque, per lo scarco delle pietre, significa quel
che entrar dalla porta aperta, per un vivente: avere come salvarsi;
salvarsi da ciò appunto che è punito, senza più redenzione possi-
bile, in quelli che vedono quel pendìo per cui non è possibile più
riascendere, come non è più permesso uscire dalla porta aperta,
una volta che si è morti. Ora, prima di tutto, è chiaro che più la
salvazione, per il vivente, è facile, più la disperazione, per il mor-
dai sepolcri dopo la risurrezione di lui, vennero nella santa città, e appariro-
no a molti». Matth. XXVII.
398 Inf. V 34 segg.
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