Page 16 - Poemi del Risorgimento
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le nivee steppe e le assolate arene.
Gittava al Tutto egli le braccia armate,
calmo, dal perno, e tra lo scatto enorme,
tra l'infinito riscintillamento
delle sue braccia, si vedea quel mezzo
Sorriso breve cui covava eterna
la sua tristezza di Titano.
Ed egli volle un vicedio ch'eterno,
per il dio triste, sorridesse al mondo.
Volle, e compose un idolo fasciato
di bianca seta, rilucente d'oro,
aspro di gemme, gli occhi pii, le labbra
sottili, aperte sempre al dolce assenso.
E lo vegliava, ché dovea placare
gli uomini a Dio, con la gemmata mano
benedicente, e gli uomini pregare
per l'immortale. Ond'egli cupo in vista
mostrava il placido idolo alle torve
inginocchiate sue tribù.
VII
Altri al timone siedono del mondo.
Son mozze alfine le sue mille e mille
e mille braccia, e guizzano per tutto,
cadute a terra, le convulse mani
cercando il ferro. Egli nell'aria fosca
leva, stillanti sangue, i moncherini.
È chiuso là nell'isola deserta
tra le grandi acque, che l'attendamento
de' re terrestri il suo dolor non turbi
con l'alte grida. Sullo scoglio assiso
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