Page 9 - Lo scarabeo d'oro
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— Va bene, Jup, diciamo che sia cosí — rispose Le-
grand, un poco piú sul serio, mi parve, di quanto non
fosse il caso — ma questa non è una buona ragione per
lasciar bruciare la cena. Il colore — qui si rivolse a me
— certo parrebbe render plausibile l’idea di Jupiter. Un
luccichío piú metallico, piú brillante di quello delle sue
elitre, non l’avrete certamente mai visto; ma sino a do-
mani non ne potete giudicare. Intanto, posso darvi un’i-
dea della sua forma. — Nel dir questo, si mise a sedere
a un tavolino sul quale si trovavano penna e calamaio.
Ma non c’era carta. Egli guardò nel tiretto, ma non ce
n’era nemmeno lí.
— Non importa, — disse finalmente — questo baste-
rà — tirò fuori dal taschino della sottoveste un pezzetto
di carta molto sudicia che parve della pergamena, e vi
abbozzò un disegno, a penna. Io intanto stavo sempre al
fuoco: avevo ancora freddo. Quando egli ebbe terminato
il suo disegno me lo porse, senza alzarsi. Nel mentre io
lo prendevo, si udí un brontolío rumoroso, poi grattare
alla porta. Jupiter aprí, un grosso cane di Terranova, il
cane di Legrand, si precipitò dentro, mi saltò alle spalle,
facendomi gran festa; nelle mie precedenti visite io ne
avevo fatto molto caso. Quando il cane ebbe smesso,
guardai la carta, e, a dire il vero, non fui poco stupito da
quel che il mio amico aveva disegnato.
— Dunque! — dissi, dopo di averlo contemplato per
vari minuti — questo è davvero uno strano scarabaeus,
lo confesso: nuovissimo per me: non ho mai visto nulla
di simile; a meno che non sia un teschio, il cranio di un
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