Page 68 - Nuovi poemetti
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poneano un segno al lor canotto: È mio!
Ma non premeva le lor vie, che il passo
di miti renne. Il lor tranquillo mare
solo sentiva remigar lo svasso.
Le donne al Mare senza l'acque amare
soleano andare all'acqua; ma lontano
gli uomini in pace le sentian cantare.
La vecchia fame li rodea... ma il grano
c'era, ma gialle non avea le reste;
ma già prendeano le falciole in mano.
Il vecchio freddo li pungea... la veste
c'era: in dosso alle renne era tuttora.
La legna c'era, ma nelle foreste.
E non c'è dì senz'alba, e l'alba è l'ora
più bella; e senza fiore non c'è frutto,
e il fiore è bello, il fiore è il più che odora.
Ed è bello ogni boccio, anche s'è brutto...
Sì; ma il lor mondo, più vicino al dì,
era una falce, un'unghia, un filo... e tutto
in una luminosa alba vanì.
CANTO QUARTO
Ritorno in sogno
Ed il lor sogno anche vanì dai cuori.
E si sparsero intorno, come i cani
dopo una morte: vagolano fuori,
fiutano cento miglia oggi, domani
piangono all'uscio. Quella madre a Dio
tendeva, sola, dentro sé, le mani.
Ma c'era, ahimè! tanto piagnucolìo
di madri, al mondo! che potean soltanto
dire, d'un po' di carne viva: È mio!
Il cielo alfine si velò, poi franto
giù si versò. L'acqua s'udia cadere
col suono ora d'un canto, ora d'un pianto.
Non c'erano nel mondo albe né sere.
C'era un silenzio fatto di frastuono
nei giorni oscuri, nelle notti nere.
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