Page 48 - Nuovi poemetti
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di grilli e rane, sparsi sulle zolle.
II
Né lavorato avevo a fondo: a fondo
avevo sì, ma pel granturco d'anno.
Il grano è meglio, e però vien secondo.
Sta pago il grano a quello che gli dànno.
Vuol sì la terra trita, ma non trita
tanto, ché, anzi, gli sarebbe a danno.
Non diedi al grano, che mi dà la vita,
nemmeno il concio. Poco o nulla e' chiede
per far la spiga bella e ben granita.
Gli basta un po' del troppo che si diede
al formentone, che scialacqua e, grande
com'è, non pensa al piccoletto erede.
Ad ogni acquata egli s'innalza e spande,
si sogna d'essere albero, fa vanti
e sfoggi, e vuole intorno a sé ghirlande
di zucche e di fagioli rampicanti...
III
Dov'e' lasciò, grossi, pel fuoco, i gambi,
io questo grano seminai; non fitto;
e un sol governo valse per entrambi.
E visse e crebbe, pesto giallo afflitto...
Ma, or vedete: e' non s'alletta e sta.
È bello. Per tenere il capo ritto
giova la cara buona povertà!
IL PANE
I
Date la pietra a falci ed a frullane,
o cari figli! spruzzolate l'aia
con acqua pura! Ché ritorna il pane.
Viene dai campi tratto a noi da paia
di vaccherelle, a l'aie bianche ov'erra
odor di fiori e odor di concimaia.
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