Page 506 - La mirabile visione
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vediamo che era, noi che leggiamo i cento canti del poema sacro:
è la Comedia nella sua terza sublime cantica, la quale Dino sa e
Giovanni no. Ma questi ne avrà in dono dal pastore decem
vascula (da una pecora, intendi, decem vascula!) di latte, e allora
comprenderà che si può essere poeti come gli antichi, degni della
laurea Delfica, anche senza scrivere in latino. Dunque nel 1319
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Dante era intorno ai primi dieci canti del paradiso .
E questa conclusione, alla quale invano si oppone che l'ovis,
tra le altre oves (quali? le sue poesie volgari? e allora "pastor di
pecore" non significa poeta bucolico) gratissima (anche più cara
della Comedia?), che Dino conosce (sebbene non munta mai,
come si dovrebbe dire per significare che non esisteva prima di
quest'ecloga prima; e invece è detta abbondevole di latte e facile
e solita a mungersi!); che l'ovis sia la poesia bucolica che a Dante
ispirerà la classica decuria d'ecloghe; questa conclusione
indubitabile, quando all'ecloga si confronti il principio del
paradiso, dove è persino l'indignatio (sì rade volte etc. 28) che
nell'ecloga accompagna il prenunzio del peana; questa
conclusione vince anche l'obbiezione di coloro che non credono
verosimile il compimento in sì breve tempo di poema così
grande. In otto anni per vero potè esser compiuto il poema di
cento canti, dei quali ventitrè almeno mancavano nel 1319. E il
fatto di codeste ecloghe poi dà un singolar valore al verso di
Minghino e alla notizia del Boccaccio, riguardo l'interruzione
593 Capo XIX Decem vascula. Ho già notato, ma giova ripetere, che la terza
cantica procede per decine, sebbene tra loro commesse e non recise l'una
dall'altra: la prima decina è dell'ultimo ternario angelico, la seconda del
penultimo, la terza del primo; e restano tre canti. Mentre correggo le bozze
di queste pagine, leggo in Atene e Roma, ottobre 1901, un arguto ed
elegante studio, sulla lezione di questi carmi latini, di GAlbini. Riferisco
poche parole, che fanno presentire (non so se mi son qui troppo folle) come
egli non sia punto persuaso delle conclusioni del Novati, alle quali si
acqueta il D'Ovidio: "... Scrivere il Paradiso e poi coronarsi; coronarsi,
certamente dell'alloro ideale etc. coronarsi anche materialmente, col rito e
col ramo, se le circostanze non avversino".
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