Page 392 - La mirabile visione
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sublimis animas, iterumque ad tarda roverti
              corpora? quae lucis miseris tam dira cupido?

           Si  parla  qui,  secondo  Servio,  di  alcune,  non  tutte,  anime   di
           sublimi: gli spiriti magni. Il che è reso visibile, come da un
           lampo, da quell'ultimo emistichio. Quali sono in Dante quelli che
           hanno "desio inadempibile" di luce? Chè Dante, è assai facile così
           traducesse   la  dira   cupido.   Invero   nell'episodio   di   Palinuro,
           esemplato in quello di Filippo Argenti, (ib. 373) torna questa dira
           cupido, che è tradotta col  Rimani  di Dante e col  Via costà  di
           Virgilio; (Inf. 8, 38) e nel dramma del Messo del cielo è ritradotta
           con "oltracotanza" che significa "pensare o desiderare oltre le
           proprie forze". Quali sono dunque quelli che desiderano ciò che
           non è dato sperare? Quelli del Limbo. E desiderano la luce, l'alto
           sole, come quelli che sono nelle tenebre, e le tenebre sono il lor
           solo martirio insieme con questo desiderio che è dato loro per
           lutto "eternalmente". Sì che patiscono, sopra ogni altro, gli effetti
           della "miseria" originale, e "miseri" sopra tutti hanno a chiamarsi,
           essi spiriti magni, essi parvoli innocenti. Or bene solo di questi
           miseri si dice nel tempo stesso che andranno al cielo e torneranno
           ai loro corpi, ossia, pensò Dante, quando torneranno ai loro corpi,
           andranno al cielo. Al cielo? Altrove Virgilio dice  superum ad
           lumen (ib. 680) dell'anime chiuse in una verde valle, altrove dice
           supera   convexa  (ib.  750)   di   quest'anime  immemores  (come
           Virgilio,   pensava   Dante,   che   porta   il   lume   dietro   sè),   e   che
           tornano ai corpi. Il cielo, il lume, la convessità sarà quel largior
           aether, quel  lumen purpureum, (ib.  640) che scende da proprio
           sole e da proprie stelle; da quel sole che riluce in fronte a Dante,
           (Pur. 27, 133) da quelle stelle e più chiare e maggiori, che Dante
           mira nel paradiso terrestre. (Pur. 27, 90) Sarà questo lume e
           questa convessità superna, quella "del grado superno"; (Pur. 27,
           125) sarà l'altezza tutta disciolta nell'aer vivo. (ib. 28, 106) Ecco
           dunque, che quando ritorneranno ai loro corpi, i pii saranno in
           disparte   avendo   Catone   a   loro   giudice.   Saranno   nell'Elisio


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