Page 387 - La mirabile visione
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temporale: e in questa cotale questo raggio divino mai non
risplende". (Co. ib.) Il manco di complessione traduce, a parer
mio, la frase Virgiliana terreni hebetant artus; il manco di
temporale o tempo, l'altra frase moribunda membra; che
muoiono, cioè, troppo presto. Questo, fraintendendo, si capisce. E
così mi pare d'intravedere l'interpretazione di Dante: "Vi sono
semi d'origine celeste, in quanto che non li ritardano (da produrre
quel primo e più nobile rampollo che, per via teologica, consiste
nei sette doni dello spirito santo: (Co. 4, 21) i corpi o le persone
(puote adunque l'anima stare non bene nella persona) o, diremmo
noi, le personalità o individualità o i soggetti, noxia, cioè dati al
male, e quelli mancanti "di complessione" o "di tempo," per
svilupparsi; cioè destinati a morir troppo presto o a non vivere
veramente mai: dei parvoli d'età e d'animo. Le anime di quelli che
possono dirsi dis geniti, patiscono passioni contrarie tra loro: non
sperano (metuunt) e desiderano; sono nè tristi nè liete (dolent
gaudentque, nel tempo stesso, cioè non dolent propriamente e
non propriamente gaudent). Non vedono l'aria pura, chiuse in
luogo tristo di tenebre, nel primo cinghio del carcere cieco. (Pur.
22, 103) Eppure la vita li lasciò con un supremo lume. Il quale
sarebbe il raggio divino, il lume, (Co. 4, 20) "la intellettuale
virtù... bene astratta e assoluta da ogni ombra corporea"; (ib. 21)
il quale sarebbe quel lume o lumiera che con le tenebre ha nel
limbo lo stesso ineffabile contrasto che la gioia col dolore e la
presenza del desiderio con l'assenza della speme. E tuttavia, esse
sono misere, con questo lume che è tenebra, sebbene non abbiano
alcun martirio; perchè questo appunto è il loro martirio, d'avere
un lume che è tenebra e un desiderio che non s'accompagna con
la speranza. Ma esse sono "sospese", queste anime sublimi, cioè
come Dante intendeva, illustri; (ib. 758) di cui Dante vede Cesare
e Bruto nel suo limbo. E "andranno al lume supero". Esse sono
anime di pii, che secondo l'Eneide, la quale rettamente
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