Page 386 - La mirabile visione
P. 386
6, 36; Pur. 21, 135) Nè è da tralasciare un altro passo, che Dante
può non aver inteso o voluto intendere. Dice Anchise di tutti i
viventi (e Dante può avere inteso solo delle grandi anime), (ib.
730)
Igneus est ollis vigor et caelestis origo
seminibus, quantum non noxia corpora tardant
terrenique hebetant artus moribundaque membra.
Hinc metuunt cupiuntque, dolent gaudentque, neque auras
dispiciunt clausae tenebris et carcere caeco,
quin et supremo cum lumine vita reliquit,
non tamen omne malum miseris nec funditus omnes
corporeae excedunt pestes.
Ma con ollis non alludeva Virgilio specialmente od
esclusivamente a quelle anime, cui era caelestis origo? Tutte,
Dante pensava, hanno questa caelestis origo, in un certo senso;
ma in un cert'altro, sole quelle dei dis geniti. E questi sono,
secondo Aristotile e lui (è bell'e ora di dirlo), uomini "nobilissimi
o divini". Chè un detto d'Aristotile era ben fermo nella mente di
Dante, sin dalla sua gioventù; un detto in cui si riportava un de'
pochi versi d'Omero che Dante conoscesse. Si legge nella Vita
Nova: "... nella mia puerizia molte fiate l'andai cercando
(quest'Angiola giovanissima), e vedeala di sì nobili e laudabili
portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta
Omero: - Ella non pare figliuola d'uomo mortale, ma di Dio - ".
(VN. 2) E nel Convivio, comentando il suo proprio emistichio
Ch'elli son quasi Dei, dice: "E ciò prova Aristotile nel settimo
dell'Etica per lo testo d'Omero poeta..." (Co. 4, 20) Il qual testo è
381
"Nè pareva d'uomo mortale figlio essere, ma di Dio" . Si legga
ora nel citato capitolo e nei seguenti la teorica dell'Alighieri; e si
mediti questo passo: "Puote adunque l'anima stare non bene nella
persona per manco di complessione, e forse per manco di
381 Il. XXIV 258.
386