Page 98 - Minerva oscura
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si vuole, di questo medesimo bene. E visita sì questa cornice, sì le
altre tre, nelle quali si espiano le colpe di avarizia e suo contrario,
di gola e di lussuria, che la Ragione a lui non nomina per loro
proprio nome, ma dichiara come amore che si abbandona troppo a
un bene che non è il vero bene, quasi pensando che il suo disce-
polo questi nomi li sa già dall'Inferno. E giunge alla foresta viva.
Da selva a foresta: dall'impedimento del vizio alla libertà, dalle
tenebre alla luce.
XXXIV.
Sopra lui è il Paradiso, al quale solo guardando negli occhi a
Beatrice, ciò è alla Scienza Divina, ascende dopo essere stato im-
merso nei fiumi di Letè ed Eunoè. Vede prima il cielo della Luna,
un pianeta con macchie, i cui santi appaiono come a traverso vetri
tersi o acque nitide, un poco appannati; poi il cielo di Mercurio,
spera che si vela a' mortai con gli altrui raggi, nel quale i beati
traspaiono come pesci in peschiera tranquilla e pura. Difettiva era
stata la virtù sì di quelli e sì di questi. Quelli avevano fatto olo-
causto della loro volontà a Dio; poi la loro volontà era stata forza-
ta. Ma la volontà, se non vuol, non s'ammorza, e in questo dunque
patì difetto la loro virtù. Così, per un mistero, anche la mancanza
di fede e perciò di libero arbitrio nei non credenti del Limbo, non
era stata del tutto involontaria. Chiara è di questi beati preganti la
corrispondenza con quei dannati sospirosi. Quelli la volontà loro
avevano, per il peccato originale, decisa da Dio; questi a Dio l'a-
vevano unita per il voto. Quella a Dio non si congiunse, questa in
Dio non si fermò: nè per loro colpa: in vero nè sono veramente
quelli compresi nell'Inferno delle pene, nè questi esclusi dal Para-
diso dei premi; e tuttavia per loro difetto, così che quelli sono del-
l'inferno nel primo cerchio e questi del cielo nella sfera più tarda.
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