Page 72 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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fummo a El Shuna, l’ultimo villaggio prima del ponte Allenby, ormai frantumato dai
razzi e dai mortai, e girammo a sinistra: su per la strada che costeggia il Giordano. Il
profumo dei gelsomini si sentiva davvero, e le luci di Gerico ci venivano sempre più
addosso: con un cannocchiale, scommetto, avresti potuto vedere i soldati israeliani. I
posti di blocco s’erano fatti più frequenti: ogni due o tre chilometri ci fermava un
bagliore azzurro di torcia, cinque o sei fidayn col volto coperto dal kassiah ci
puntavano i kalashnikov e chiedevano il lasciapassare. Ottenutolo, ci esaminavano
senza entusiasmo uno a uno e ci ordinavano di proseguire avvertendo: «Ou’a! Fate
attenzione!». Ripartivamo guardinghi, a fari spenti, saltando sulle buche e sui sassi di
una strada che forse non era più una strada ma un campo, mentre Abu Abed
brontolava: «Domani bisogna andarcene, intesi? Restar qui è troppo pericoloso».
D’un tratto ci lasciammo alle spalle anche le luci di Gerico, il cielo si offuscò di
una nebbiolina che annunciava la pioggia e quel profumo di gelsomini scomparve.
Ebbi l’impressione che non viaggiassimo più lungo il fiume ma che percorressimo la
sponda del Mar Morto. Confusamente si delineò un filare di alberi e qui Abu George
spense i motori. Due fidayn armati apparvero come fantasmi dal nulla e ci dissero
che da quel momento bisognava andare a piedi: loro ci avrebbero servito da scorta.
Sembravano molto giovani, molto miti, e molto gentili. Cercando di intravederne il
viso, come sempre nascosto dal kassiah, non potevi evitar di provare una specie di
tenerezza per loro. Erano gli stessi che quasi ogni notte si imbrattavano il viso di
vernice nera o polvere di carbone, si caricavano di munizioni ed esplosivi, e
partivano verso i campi di mine, le mitraglie puntate. Eran gli stessi che poche ore
prima avevo visto negli ospedali di Al Fatah, chi senza un piede, chi senza una
gamba, chi senza le dita di una mano e chi cieco, e se ci parlavi ti rispondevan
sereni: «Forse la vista mi tornerà e potrò rientrare alla base». Oppure: «Forse mi
faranno un piede artificiale e potrò tornare a combattere». Con quella tenerezza in
cuore mi chiesi cosa induce un uomo a far questo. Un uomo che non v’è costretto da
una cartolina di richiamo, né da un partito, né da un generale… Cos’è che li fa
diventare fidayn?
Tre giorni avanti io avevo già posto questa domanda a qualcuno. Era successo in
un campo di addestramento sulle colline di Amman: durante una manovra cui
m’avevan permesso di partecipare e in cui un ragazzo era rimasto ferito. La manovra
era diretta da un ufficiale che passava le linee «almeno quattro volte al mese» e
spesso era giunto fino a Tel Aviv. Si chiamava Giacobbe, colpiva per un volto
sofferente, scavato, da Gesù Cristo: aveva anche i capelli rossi, la barbetta rossa,
come Gesù Cristo. E gliel’avevo detto e m’aveva risposto: «Sono anch’io un Gesù
Cristo. Sulla croce ci avevano messo anche me, solo che io sono sceso, e ho
imparato a usare il fucile, le bombe a mano, i katiuscia, per ammazzare gli altri».
Allora gli avevo chiesto com’è che un Gesù Cristo scende dalla croce per
ammazzare gli altri, e lui mi aveva risposto così.
«Noi s’era contadini, capisci, e si possedeva un bel po’ di terra sotto i monti di
Hebron. Mio padre l’aveva ereditata da suo padre che l’aveva ereditata da suo padre
anche lui e via dicendo. Ci si aveva le vigne, e gli olivi, e si faceva l’olio, e il vino,