Page 99 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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fratello  non  venne.  Lo  vestimmo  e  poi  ci  fu  la  cerimonia  dell’anello.  La  storia

          dell’anello  è  una  storia  molto  commovente.  Nell’autunno  del  1973  io  e  Alekos
          c’eravamo scambiati gli anelli. Quello che mi aveva regalato lui era molto bello: coi
          brillanti.  Quello  che  gli  avevo  regalato  io  era  molto  povero:  perché  lui  lo  aveva
          voluto così. Anzi pretendeva un anello di ferro, ma gli anelli di ferro non esistono, e
          così  ero  stata  costretta  a  comprargli  un  anellino  di  argento.  Avevo  sbagliato  la
          misura. Alekos si era molto divertito e lo aveva messo al mignolo, sebbene anche al

          mignolo gli stesse un po’ stretto. Aveva dita grassocce. Non lo levò mai da quel dito,
          mai. Non esiste una sola fotografia di Alekos senza quell’anello al mignolo. Diceva:
          «Anche se tu me lo chiedessi, non potrei.  Perché non vorrei».  Dopo la sua morte
          glielo avevano tolto. Ma io chiesi a sua madre di restituirmelo e lei me lo restituì.
          Volevo metterlo al mio dito e dare ad Alekos il mio: in un matrimonio ripetuto e
          rinnovato dopo la morte.  Ma ero così disperata, in quell’obitorio, piangevo tanto,
          che sbagliai: gli rimisi il suo. Così dovemmo aprire di nuovo la cassa e ricambiarlo.

          A volte mi chiedo se lo sbaglio non sia stato una scusa del mio subcosciente, per
          toccarlo ancora una volta. Gli misi al dito la fede di brillanti che lui mi aveva dato.
          In tasca della giacca gli misi due mie fotografie e un bigliettino che mi aveva scritto
          un  giorno:  «S’agapò  tora kai  t’asagaò  pantote»  [Ti  amo  ora  e  ti  amerò  sempre,
          N.d.R.]. La madre di Alekos era presente. Del resto rimasi sempre al suo fianco, sia
          in chiesa dove entrammo insieme, che durante il viaggio al cimitero.

               Il giorno dopo i funerali partii. O due giorni dopo? Presi poche cose con me: una
          camicia, due cravatte, un vecchio orologio rotto che gli avevo regalato nel 1973, un
          bicchiere che aveva una storia per noi, la coperta che gli avevo fatto e regalato per
          la sua elezione al parlamento e che lui chiamava «la coperta di Charlie Brown», tre
          pipe. Regalai altri oggetti di Alekos ad amici che credevo gli volessero bene. E poi
          lasciai tutto. Scrissi alla famiglia che potevano tenersi tutto, che mi mandassero solo
          tre oggetti che mi erano cari: un tronco d’albero dove mettevo i fiori che Alekos mi

          regalava,  una  valigetta  rotta  che  gli  avevo  comprato  in  Spagna  e  sulla  quale  ci
          eravamo tanto divertiti per via della serratura ora rotta, un quadretto con una barca
          che  mi  era  stato  regalato  da  una  sua  cugina  pittrice.  Ma  non  ricevetti  mai  nulla.
          Quando  tornai  in  quella  casa,  la  prima  volta,  erano  state  cambiate  le  chiavi.  E
          quando tornai la seconda, era stato portato via tutto. Senza dirmi nulla.

              Non dirò altro su questo se non vi sarò costretta.


          Sui documenti
               I  documenti  sono  al  sicuro,  in  Paesi  stranieri,  e  custoditi  in  tal  modo  che,  se
          dovesse  succedere  qualcosa  a  me,  verrebbero  automaticamente  e  integralmente
          pubblicati. Quindi è meglio che io sia lasciata in pace. Ciò che intendo farne e che
          possono  farne  le  persone  che  ho  delegato  ad  usarli  se  succede  qualcosa  a  me,

          riguarda me sola. Non gli altri. Ero la donna di Alekos, sono la donna di Alekos.
          Non devo rendere conto a nessuno, fuorché alla mia coscienza, di ciò che faccio e
          farò per Alekos.  Non ho fretta. Anche perché non voglio aiutare chi ha ambizioni
          politiche e usa il nome di Alekos per esse. Alekos non appartiene a un partito o a un
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