Page 95 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Sono una donna molto asociale, molto scorbutica, molto difficile. E sono diventata

          più asociale, più scorbutica, più difficile, col successo. Proprio per scoraggiare la
          gente che mi veniva intorno. Detesto la frivolezza. E quando sei famoso la gente ti
          viene  sempre  incontro  con  frivolezza.  Per  oppormi  alla  frivolezza  mi  dimostro  a
          volte fin troppo seria, fin troppo accigliata. E così molto spesso offendo la gente o
          gli resto antipatica. […]
               Non è la faccia. È quello che mi porto dietro e che la gente annusa: la solitudine

          cioè il non avere bisogno degli altri. Ed anche la sicurezza di sé. Ma non si può stare
          soli, se non si ha la sicurezza di sé, e se non si basta a sé stessi.


          Su Alekos e la mia solitudine
               Anche  Alekos  era  un  uomo  solo  che  amava  la  solitudine.  Il  nostro  è  stato
          l’incontro di due solitudini. Parlo di solitudine dell’anima naturalmente. Era questa

          che  ci  rendeva  fratelli.  E  la  grandezza  del  nostro  amore  stava  proprio  in  questo:
          nell’essere  fratelli,  complici.  Voglio  dire,  noi  non  ci  amavamo  soltanto  come  un
          uomo e una donna che dormono insieme e fanno l’amore in un letto.  Ci amavamo
          come compagni, fratelli, complici. Una volta nel 1975 detti una lunga intervista e il
          giornalista mi chiese cosa cercavo nell’uomo che amavo. E io risposi: «Un fratello».
          Allora, alludendo ad Alekos, il giornalista mi chiese: «Cos’è Panagulis per lei?». E

          io risposi: «Mio fratello». Qualche giorno dopo mi incontrai con Alekos che veniva
          dalla Germania e mi disse che un giornalista gli aveva chiesto cos’ero io per lui. E
          lui  gli  aveva  risposto:  «Mio  fratello».  Non  mia  sorella,  mio  fratello.  Poi Alekos
          scoppiò in una risata e aggiunse: «Allora il nostro è un incesto!». In realtà era un
          incesto. Eravamo così diversi e tuttavia così uguali.
               Per  esempio,  eravamo  tutti  e  due  così  ossessionati  dalla  libertà.  Non  solo  la
          libertà  politica,  ovvio,  ma  la  libertà  individuale.  E  niente  minaccia  la  libertà

          individuale quanto l’amore. Infatti all’inizio avevamo entrambi una gran paura del
          nostro amore. Lui lo chiamava un’àncora. Io, una palla al piede. Ma ciò che uccide
          la libertà individuale è il matrimonio. Così l’avversione che entrambi avevamo per
          il  matrimonio  ci  aiutò  a  superare  la  paura  dell’amore,  dell’àncora,  della  palla  al
          piede. Qualcuno dice che, dal momento in cui un uomo e una donna vivono insieme,
          non c’è differenza col matrimonio. Questo è inesatto. Perché vivere insieme sapendo

          che non si è obbligati a farlo, non obbligati dalla legge, non obbligati dalla chiesa,
          non obbligati da un contratto, salva il rapporto. E amarsi abitando a indirizzi diversi
          è  ancora  meglio.  Finché  Alekos  fu  in  esilio  in  Italia,  vivemmo  sempre  insieme.
          Avevamo  un  appartamento  a  Firenze.  Quando  egli  rientrò  in  Grecia,  vivemmo  a
          indirizzi diversi. E diventò tutto molto più bello, perché tutto era molto più libero. Io
          venivo spesso ad Atene e lui veniva più spesso in Italia. Non stavamo mai lontani
          più di venti giorni. E, quando ci ritrovavamo, era una gioia raddoppiata.

               I  conformismi  borghesi  non  ci  hanno  mai  sfiorato.  Perché  è  inutile  fare  i
          rivoluzionari o usare un linguaggio rivoluzionario se non si applica la rivoluzione
          alla nostra vita privata, alla nostra vita quotidiana. La rivoluzione che intendo io e
          che intendeva Alekos è qualcosa di più di una guerra civile per le strade o di un
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