Page 92 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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creature della mia vita. Più mi guardo indietro, più concludo che non ho mai amato

          niente e nessuno come Alekos e la mia mamma. E ora tutti e due se ne sono andati.
          Uno dopo l’altro, a soli otto mesi di distanza. Ma un’altra cosa ho da dire: quando la
          mamma è morta, nessuno mi ha mandato una parola di cordoglio da Atene. Nessuno.
          Nessuno ha mandato un fiore. Eppure il fratello e la madre di Alekos conoscevano la
          mia  mamma.  Erano  venuti  a  trovarla  nella  nostra  casa  di  campagna  nel  1975,  ed
          erano stati ricevuti dalla mia famiglia con molto affetto.

               Pensavo naturalmente di tornare in Grecia il 1° maggio. Ma poi ho saputo che la
          cerimonia sarebbe stata gestita dall’Unione di Centro e dal partito di Papandreu. E
          me  ne  sono  scandalizzata.  Dall’Unione  di  Centro  Alekos  era uscito,  carico  di
          delusioni e di dispiaceri: in Parlamento era rimasto come indipendente di sinistra.
          Verso Papandreu si era sempre comportato con sdegno: lo riteneva uno degli uomini
          più pericolosi di Grecia. Non lo stimava. Non lo aveva stimato mai. So che ora si
          cerca di cambiare le carte in tavola e di dire il contrario. È una cosa infame verso

          Alekos che dalla tomba non può rispondere. La sua avversione verso Papandreu era
          tale  che  nemmeno  in  Parlamento,  passandogli  davanti,  gli  rivolgeva  la  parola.  E
          questa avversione durava fin dal giorno in cui era uscito di prigione. […]
               Si potrebbe scrivere un lunghissimo articolo solo su questo. Io so tutto perché ho
          visto tutto e perché, sul passato, Alekos mi ha raccontato tutto.
               Dovrei quindi lasciar sfruttare il mio nome dall’Unione di Centro e dal partito di

          Papandreu?  Dovrei  quindi  farmi  strumentalizzare  da  loro  partecipando  alle  loro
          funebri  cerimonie  elettorali?  No,  grazie.  Non  lo  farò.  Per  la  mia  dignità  e  per  la
          dignità di Alekos. Mi sembrerebbe di tradirle. Quando vorrò portare un fiore sulla
          tomba  di Alekos,  ci  andrò  zitta  zitta  come  ho  fatto  sempre:  senza  che  nessuno  lo
          sappia. Non il 1° maggio. Il 1° maggio commemorerò Alekos a modo mio. E i fiori
          glieli porterò nella cappella della mia casa di campagna. Oppure nella nostra stanza
          della mia casa di campagna, dove ancora dormo e dove tutto è come quando lui partì.

          Le  sue  ciabatte,  la  sua  biancheria.  Le  poesie  che  scriveva  per  me  quando  veniva
          Natale o Pasqua o il mio compleanno. Tutti i Natali e le feste Alekos le passava qui
          in campagna, insieme a me e alla mia famiglia. Tutti dal 1973. Qui ha vissuto per
          mesi. E qui è più presente che al cimitero di Atene. Al cimitero di Atene vi sono
          soltanto le sue ossa, col mio anello al suo mignolo sinistro. Ad Atene non c’è più

          nemmeno la nostra stanza, in via Kolokotroni. È stata disfatta senza dirmi nulla. Non
          so chi abita in quell’appartamento, ora. Meglio così.
               E poi le cerimonie non servono ai morti: servono ai vivi. O meglio agli sciacalli.
          Non è facendo una cerimonia sfruttabile politicamente che si racconta al mondo chi
          era Alekos e perché morì. È facendo ciò che faccio io. Cosa faccio? Vedrete.


          Sulla mia testimonianza a Gavunelis

               Per mesi chiesi agli avvocati di essere interrogata dal magistrato che conduceva
          l’inchiesta. Ma soltanto verso agosto o settembre fui finalmente chiamata. Parlai a
          Gavunelis per undici ore e mezzo ininterrotte. E alla fine lui sbottò: «Ma perché lei
          non è venuta prima, da me?!?». Risposi: «E perché lei non mi ha chiamato prima?!?
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