Page 93 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Da mesi aspettavo che mi chiamasse e lo dicevo agli avvocati della famiglia».
Rispose Gavunelis: «Soltanto ieri gli avvocati mi hanno informato che lei sarebbe
venuta ad Atene e che, in tale occasione, sarebbe stata a mia disposizione se volevo
interrogarla». Rimasi allibita. Chiesi ancora: «Ma perché non ci ha pensato prima,
da sé?». Rispose Gavunelis: «Io volevo, fin da principio. Ma i familiari mi dissero
che non dovevo chiamarla perché non sapeva nulla. Non conosceva Alekos, o lo
conosceva appena». Risposi a Gavunelis: «Tutta la Grecia sa che io ero la donna di
Alekos. Partimmo insieme nell’ottobre del 1973, vivevamo insieme durante l’esilio.
Eravamo sempre insieme, dopo. Qualsiasi giornale lo sapeva. Non legge i
giornali?». E Gavunelis: «La famiglia mi disse che lei non sapeva nulla perché
Alekos la conosceva appena». Quanto alla mia testimonianza credo che sia stata data
ai giornali incompleta. Perché non credo che i tagli siano stati fatti dai giornali. Sono
tagli che riguardano i punti più interessanti della mia deposizione. Se i giornali li
avessero avuti, non se li sarebbero lasciati sfuggire. Devo anche dire che, alla fine
della mia deposizione, Gavunelis mi disse: «La sua testimonianza è forse la più
importante che abbia ascoltato. Lei sa molto di più, molto [più, N.d.R.] di quanto sa
la famiglia. E ora sono convinto che Alekos non sia morto per un banale incidente
automobilistico. Sono convinto che sia stato ammazzato. Ma perché andava solo, di
sera, senza una guardia del corpo?!?».
In quella occasione rividi il fratello di Alekos. Venne a prendermi all’aeroporto
e fu sempre accanto a me. I fotografi lo sanno bene. Quando ritornai ad Atene lo
incontrai allo stadio dove si teneva una cerimonia commemorativa per la resistenza
contro i nazifascisti. Ero lì per incontrare un antico amico di Alekos. Ma lui si mise
a gridare insulti contro questo signore, non so perché, e anche a dire che io ero
l’amica di Averoff e di Andreotti. Non mi parve molto normale, diciamo. Provai una
gran pena. Così mi alzai e me ne andai a sedere accanto a Elias Eliu che è un
brav’uomo. Da quel giorno non ho più voluto vedere nessuno. […]
La mia ritrosia
Bisogna capire la mia ritrosia. Non è superbia. È ritrosia, e dignità. Io ho un
nome da difendere. Un nome prezioso perché un nome rispettato anche dai nemici.
Prezioso non soltanto per la mia fama di scrittore e di giornalista ma perché i Fallaci
sono una famiglia politicamente impegnata. Sono stati molto bravi durante la
Resistenza. Mio padre ne fu uno dei capi. Fu anche arrestato, torturato, condannato a
morte. Proprio come Alekos. Alekos lo amava anche per questo. Io non posso quindi
mischiarmi a gente che non rispetto e che non è rispettata. E che del resto non mi
interessa.
Fui molto felice, e orgogliosa, di poter essere utile ad Alekos con il mio nome:
specialmente nel periodo compreso tra la sua scarcerazione e la caduta della Giunta.
E so che la famiglia di Alekos mi accettò anche per questo: perché ero famosa,
rispettata, e quindi la mia presenza a fianco di Alekos proteggeva in molti sensi
Alekos. Ma ora che Alekos è morto non vedo perché dovrei fare da press-agent a
qualcuno che non mi riguarda e che non ha altro merito fuorché quello di chiamarsi