Page 88 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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all’infermiera  e  che  avevano  l’unico  scopo  di  mascherare  il  nostro  silenzio:

          sollevarla  in  una  posizione  meno  scomoda,  aggiustarle  i  guanciali,  controllare  le
          bombole dell’ossigeno grazie a cui respirava. Esaurito il cerimoniale, lei bisbigliava
          una frase: quasi sempre la stessa. «Diventerai cieca su quel libro.» Io rispondevo
          scherzosa  che  mi  sarei  messa  gli  occhiali,  posavo  un  timido  bacio  sulla  fronte
          d’avorio, riattraversavo il salone, risalivo le scale, e tornavo al mio esilio privo di
          rapporti col mondo.

               Dentro il tunnel lo spazio non aveva più spazio, il tempo non aveva più tempo, e
          la Storia non esisteva. Non vedevo mai nessuno, non rispondevo mai al telefono, non
          leggevo mai i giornali: il mio cervello era un muscolo, che agiva esclusivamente in
          funzione  della  fatica  in  cui  mi  stavo  distruggendo,  del  fantasma  a  cui  cercavo  di
          ridare vita col ricordo e con la fantasia. Da qualche parte avevo udito che Mao Tse-
          tung s’era spento di vecchiaia a Pechino e giaceva imbalsamato nella piazza della
          Pace Celeste dove gli costruivano un mausoleo, che a Teheran lo scià Reza Pahlavi

          si  trovava  nei  guai  perché  i  mullah  riempivano  le  moschee  di  popolo  pronto  alla
          rivolta,  che  a  Managua  il  dittatore  Somoza  non  sarebbe  durato  a  lungo  perché  il
          movimento  sandinista  avanzava,  che  negli  Stati  Uniti  Jim  Carter  era  stato  eletto
          presidente. Ma le notizie che in passato m’avrebbero acceso d’entusiasmo e condotto
          in Cina, in Iran, in Nicaragua, ricondotto a New York dove avevo un ufficio e una
          seconda  casa,  ora  sfioravano  la  mia  coscienza  come  echi  soffocati  e  privi

          d’interesse.  Ignoravo  perfino  il  calendario.  A  raccontarmi  il  trascorrere  d’una
          giornata c’era soltanto l’orologio del salone, il suo ripetere ogni sessanta minuti quei
          rintocchi ossessivi; a testimoniare l’alternarsi delle stagioni c’era soltanto il pero
          sotto  la  mezza  finestra.  Grondava  pere  quando  m’ero  messa  al  tavolino,  sicché
          doveva essere estate, ma dopo un poco aveva ingiallito le foglie sicché doveva esser
          giunto  l’autunno,  dopo  un  poco  le  aveva  perdute  denudandosi  in  mezzo  alla  neve
          sicché  doveva  esser  giunto  l’inverno.  E  poi  doveva  essere  inverno  perché  faceva

          freddo e pioveva e qualcuno parlava d’un Natale trascorso sebbene non rammentassi
          d’aver festeggiato il Natale, qualcuno parlava d’un Capodanno anch’esso trascorso
          sebbene non rammentassi d’aver festeggiato il Capodanno. Era stato forse la volta in
          cui ero rimasta con mia madre più a lungo e l’avevo aiutata a mangiare un dolce che
          non riusciva a inghiottire?

               Una  sera  di  gelo  scesi  a  controllare  le  bombole  dell’ossigeno,  aggiustarle  i
          guanciali, sollevarla in una posizione meno scomoda, e quando lei mosse le labbra
          non  uscì  alcun  suono:  l’invisibile  mostro  era  salito  fino  alle  corde  vocali.
          Terrorizzata le suggerii la frase diventerai-cieca-su-quel-libro. Scosse la testa per
          rispondere no. Elencai una serie di domande che la aiutassero a farmi capire: aveva
          sete,  voleva  andare  nel  bagno,  non  sopportava  il  dolore?  Ma  a  ogni  domanda
          scuoteva la testa per rispondere no, no, no. Ci volle un secolo prima che l’infermiera
          captasse il vocabolo prete, capisse che voleva il prete. E il prete venne, con la sua

          valigetta di flaconi contenenti acqua santa, olio santo, altri liquidi santi e brevettati
          per  la  guarigione  dell’anima.  Come  uno  stregone  che  si  accinge  a  misteriosi
          esorcismi si addobbò con stole nere e ricamate d’oro e d’argento, brandì la croce,
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