Page 83 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
P. 83
ad esempio. Il modo in cui ti toccava una mano per ringraziarti di un’osservazione.
Ciò gli cambiava i lineamenti del volto che, non più doloroso, diventava indifeso. Di
volto non era bello: con quegli occhi piccoli e strani, quella bocca grande e ancora
più strana, quel mento corto, infine quelle cicatrici che lo sciupavano tutto. Alle
labbra, agli zigomi. Eppure ben presto ti sembrava quasi bello: di una bellezza
assurda, paradossale, e indipendente dalla sua anima bella. No, forse non lo avrei
mai capito. Decisi da quel primo incontro che l’uomo era un pozzo di contraddizioni,
sorprese, egoismi, generosità, illogicità che avrebbero sempre chiuso un mistero. Ma
era anche una fonte infinita di possibilità e un personaggio il cui valore andava oltre
quello del personaggio politico. Forse la politica rappresentava solo un momento
della sua vita, solo una parte del suo talento. Forse, se non lo avessero ammazzato
presto, se non lo avessero rimesso in gabbia, un giorno avremmo sentito parlare di
lui per chissà quali altre cose.
Non lo giustiziarono per non farne un eroe. E va da sé che lo divenne ugualmente
perché morire, a volte, è più facile che vivere come viveva lui. Lo trasportavano da
una prigione all’altra dicendo: «Il plotone di esecuzione ti aspetta». Entravano nella
sua cella e lo massacravano di botte. E per undici mesi lo tennero ammanettato,
giorno e notte, malgrado i polsi gli fossero andati in putrefazione. A periodi, poi, gli
impedivano di fumare, di leggere, di avere un foglio e una matita per scrivere le sue
poesie. E lui le scriveva lo stesso, su minuscoli fogli di carta velina, usando il suo
sangue per inchiostro. «Un fiammifero per penna / sangue gocciolato in terra per
inchiostro / l’involto di una garza dimenticata per foglio. / Ma cosa scrivo? / Forse
ho solo il tempo per il mio indirizzo. / Strano, l’inchiostro s’è coagulato. / Vi scrivo
da un carcere / in Grecia.» 6
Il suo eroismo era la conseguenza del suo essere poeta, o una coerenza col suo
essere poeta. 7
Quando venne rilasciato dalla prigione e andammo a vivere insieme, […]
ritrovammo [i suoi versi, N.d.R.]. E quando finimmo di assemblarli tutti, insieme li
traducemmo dal greco in italiano. (Non tanto perché io sappia così bene il greco
quanto perché conosco molto bene l’italiano.) Terminata la traduzione, riuscii a
pubblicarli in un libro e curai quel libro come fosse mio. Dal titolo che scelsi, Vi
scrivo da un carcere in Grecia, alle varie correzioni di bozze…
E per questo dico che quelle poesie in qualche modo appartengono anche a me:
se Alekos ne era il padre, il creatore, io di certo ne fui la balia. E come una balia
protessi quel suo figlio fino al giorno in cui il libro venne stampato e gliene portai la
prima copia… Eravamo a Roma, lo ricordo, ed era il giorno del referendum sul
divorzio: il giorno della vittoria dei progressisti, dato che il divorzio aveva vinto
con una maggioranza di voti schiacciante. Roma era una festa di bandiere, tutte le
strade erano invase da auto che suonavano il clacson, ma Alekos stava dormendo nel
nostro hotel. Era appena tornato da uno dei suoi pericolosi viaggi clandestini ad