Page 82 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
P. 82
Come si saluta un uomo che è appena uscito da una tomba? Come si parla a un
simbolo? Mi mordevo le unghie, nervosa: me ne ricordo perfettamente. Me ne
ricordo perché di quel giovedì 23 agosto ricordo tutto. Lo sbarco ad Atene. Il timore
di non trovarlo sebbene gli avessi fatto annunciare il mio arrivo. La ricerca di via
Aristofanos, nel quartiere di Glyfada, dov’era la sua casa: il tassista che finalmente
scorge la villetta e si mette a gridare facendosi il segno della croce. Il pomeriggio
afoso, i miei vestiti appiccicati al corpo. La folla dei visitatori che gremisce il
giardino, la terrazza, ogni angolo della villetta. Gli altri giornalisti, le voci, le spinte.
E lui che siede nel mezzo del caos con quel volto di Cristo.
Aveva un’aria molto stanca, anzi esausta. Però appena mi vide si alzò, col balzo
di un gatto, e corse ad abbracciarmi come se mi conoscesse da sempre. 4
Non ci eravamo mai visti ma ci conoscevamo. Lui diceva che gli avevo fatto
compagnia per tanti anni, in prigione… con i miei articoli, i miei libri. All’inizio non
ci credevo, poi, invece, quando gli restituirono gli oggetti che teneva nella cella, un
paio di scarpe, una coperta, un pacco di libri e di giornali, esclamò tutto contento:
«Guarda, guarda!». E tirò fuori due miei libri e una collezione dei miei articoli e una
grammatica italiana, un vocabolario greco-italiano. Perché in carcere s’era messo a
studiare l’italiano… E, al lato di un mio scritto in italiano, i suoi appunti sulla
coniugazione del verbo amare. «Se io avessi amato, se tu avessi amato, se egli
avesse amato…» Insomma, il giorno in cui uscì di prigione non ci conoscemmo: ci
riconoscemmo. 5
Mi condusse in una stanza dov’eran molte copie di un mio libro in greco. Oltre a
quelle c’era un mazzo di rose rosse che mi aveva mandato fino all’aeroporto e che
poi erano tornate indietro perché l’amico incaricato di ricevermi non m’aveva
trovato. Commossa, ringraziai bruscamente. Ma lui capì il tono brusco perché, per un
attimo, la malinconia gli scomparve dagli occhi e le sue pupille ebbero un lampo di
divertimento che mi smarrì di nuovo. Era un lampo che ti faceva intuire una selva di
tenerezze e furori in contrasto fra loro, un’anima senza pace. Sarei riuscita a capire
quell’uomo? […]
Immediatamente mi colpì la sua voce che era seducentissima, dal timbro fondo,
quasi gutturale. Una voce per convincer la gente. Il tono era autorevole, calmo: il
tono di chi è molto sicuro di sé e non ammette repliche a ciò che dice in quanto non
ha dubbi su ciò che dice. Parlava, ecco, come un leader. Parlando fumava la pipa che
praticamente non staccava mai dalla bocca. Così avresti detto che la sua attenzione
era concentrata su quella pipa, non su di te, e questo gli conferiva una certa durezza
che intimidiva perché non si trattava di una durezza recente, cioè maturata dagli
strazi fisici e morali, bensì di una durezza nata con lui: grazie alla quale aveva potuto
vincere gli strazi fisici e morali. Allo stesso tempo era premuroso, gentile, e restavi
come smarrito quando, con virata improvvisa, sai la virata di un motoscafo che
procede dritto e di colpo si gira per tornare indietro, tanta durezza si rompeva in
dolcezza: struggente come il sorriso di un bimbo. Il modo in cui ti versava la birra,