Page 77 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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L’intervista a Kissinger non l’ho mai considerata una bella intervista e non ho mai
capito perché in America sia diventata una specie di sacro testo che riappare in tutti i
libri di politica. 59
Giovedì 2 novembre 1972, […] lo vidi giungere tutto affannato, senza sorrisi, e mi
disse: «Good morning, miss Fallaci». Poi, sempre senza sorrisi, mi fece entrare nel
suo studio elegante e pieno di libri, telefoni, fogli, quadri astratti, fotografie di
Nixon. Qui mi dimenticò mettendosi a leggere, le spalle voltate, un lungo
dattiloscritto. Era un po’ imbarazzante restarmene lì in mezzo alla stanza, mentre lui
leggeva il dattiloscritto e mi voltava le spalle. Era anche sciocco, villano da parte
sua. Però la cosa mi permise di studiarlo prima che lui studiasse me. E non solo per
scoprire che non è seducente, così basso e tarchiato e oppresso da quel testone di
ariete: per scoprire, ecco, che non è affatto disinvolto, né sicuro di sé. Prima di
affrontare qualcuno, egli ha bisogno di prendere tempo e proteggersi con la sua
autorità. Fenomeno frequente nei timidi che vogliono nascondere d’essere timidi e in
tale sforzo finiscono col sembrare sgarbati. O esserlo davvero. […]
Per tutta l’intervista non mutò mai quella espressione senza espressione, quello
sguardo ironico o duro, e non alterò mai il tono di quella voce monotona, triste,
sempre uguale. L’ago del registratore si sposta quando una parola è pronunciata in
tono più alto o più basso. Con lui restò sempre fermo e, più di una volta, dovetti
controllare: accertarmi che il magnetofono funzionasse bene. Sai il rumore
ossessionante, martellante, della pioggia che cade sul tetto? La sua voce era così. E,
in fondo, anche i suoi pensieri: mai turbati da un desiderio di fantasia, da un disegno
di bizzarria, da una tentazione di errore. Tutto era calcolato in lui, controllato come
nel volo di un aereo guidato dal pilota automatico. Pesava ogni frase fino al
milligrammo, non gli scappava nulla che non intendesse dire, e ciò che diceva
rientrava sempre nella meccanica di una utilità.
Un’anguilla più ghiaccia del ghiaccio. Dio, che uomo di ghiaccio. 60
Con me fece un mucchio di figuracce inclusa quella d’aver negato la famosa frase sul
cowboy e aver detto che in fotografia sembravo una bella donna ma in realtà ero un
brutto anatroccolo. «A little ugly duck.» Nonché quella d’aver scritto nel suo libro
Le Memorie della Casa Bianca che aveva accettato d’incontrarmi per «vanità» cioè
perché voleva essere incluso nel mio «Olimpo dei Potenti». E quella d’aver scritto,
nel libro successivo, che con lui ero stata cattiva ma con Le Duc Tho ero stata
buonissima. Coglione! 61
Nessuno mi ha mai accusato d’aver scritto falsità, e nessuno può farlo. Nemmeno il
dottor Kissinger, che farebbe di tutto per dimostrare quanto poco mi ama. Infatti non
ha mai osato sostenere che io avessi inventato alcunché in quell’intervista. Storia del