Page 72 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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almeno una creatura o dieci creature moriranno uccise da una pallottola, da un colpo

          di mortaio… Meno quattro, meno tre, meno due, meno uno, e il razzo si prepara a
          partire, un uomo si prepara a morire… È atroce. Eppure sulla Luna bisogna andarci
          lo stesso. E chissà che non serva a migliorare un poco gli uomini, a farli essere un
          poco più angeli e un po’ meno bestie. […]
               In principio ci furono solo le voci. Infatti la macchina da presa della televisione
          era chiusa in un settore del LM  che poteva essere azionato solo dall’esterno e, per

          azionarlo,  Armstrong  doveva  uscire,  poi  scendere  fino  a  metà  scaletta.  Le  voci
          giungevano a noi molto nitide e non eran le solite voci di pietra, erano voci molto
          preoccupate, molto incerte. Soprattutto quella di Armstrong che finalmente tremava
          come deve tremare la voce di un uomo che la prima volta mette piede sopra la Luna.
          Tremavamo anche noi, però. Dio, come tremavamo. […]
               Armstrong dovette  aprirlo  [il  circuito TV, N.d.R.], allungando la mano sinistra,
          proprio mentre parlava con Houston perché in quel preciso momento gli schermi si

          illuminarono e vedemmo ciò che vide tutto il mondo, vedemmo la zampa del LM, la
          parte  inferiore  del LM,  e  l’orizzonte  della  Luna.  E  poi  vedemmo  quel  piede,  quel
          grande piede che scendeva a cercare il piolo della scaletta, era un piede sinistro e
          scendeva  così  lento,  così  cauto,  ma  allo  stesso  tempo  così  deciso.  E  dal  Centro
          Controllo Bruce McCandless gridò: «Man! Riceviamo una immagine sulla TV!  Oh,
          man!».  E  Aldrin,  tutto  contento,  rispose:  «Bella  immagine,  eh?»,  e  Bruce

          McCandless  aggiunse:  «Neil,  Neil!  Ti  vediamo  scendere  per  la  scala  a  pioli!».
          Erano  le  nove  e  cinquantasei,  ora  di  Houston.  E  nell’auditorium  tutti  ripetevano:
          «Man!  Oh,  man!».  Che  vuol  dire  uomo.  Uomo,  non  Dio.  E  mentre  invocavano
          l’uomo invece di Dio Armstrong risalì di due o tre scalini, a provare se ciò costava
          fatica, ma non gli costava nessuna fatica e riprese a scendere cauto, deciso. E presto
          lo vedemmo tutto intero, prima la tuta bianca e poi il casco: fu all’ultimo piolo dove
          ebbe un momento di esitazione perché l’ultimo piolo è assai alto, per scendere sopra

          il piattello della zampa del LM bisogna fare quasi un saltino, e sembrò quasi che gli
          mancasse  il  coraggio  di  fare  il  saltino,  il  coraggio  di  uscire  dall’acqua,  lasciare
          l’ultima onda e gettarsi sopra la riva. Ma poi il coraggio gli venne, e si buttò giù e fu
          dentro il piattello. E le sue prime parole sulla Luna furono queste: «Sono ai piedi
          della scaletta, I am at the foot of the ladder…».        51



          Ora  che  lo  spettacolo  paradossale  è  finito,  il  dramma  concluso,  e  i  confini  della
          nostra  intelligenza  e  della  nostra  storia  si  sono  allargati  fino  al  Mare  della
          Tranquillità,  ci  sentiamo  come  assuefatti  all’idea  di  possedere  la  Luna  e  quasi
          sorridiamo delle nostre ansie e dei nostri timori: non era poi così difficile, dicono
          alcuni,  si  accende  un  fiammifero  e  via.  Ci  si  abitua  a  tutto,  anche  al  miracolo
          d’essere usciti dalla nostra prigione di azzurro per approdare a quell’isola brutta:

          presto ce ne scorderemo, come abbiamo scordato il miracolo del primo pesce che
          uscì dalle acque per approdare alla terra e diventare un uomo. Ripetere la sfida non
          ci sembra più un rischio blasfemo, e della meravigliosa avventura non resterà presto
          che una carnevalata intorno a due piloti cui abbiamo già regalato la patente di eroi,
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