Page 75 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
P. 75

duro:  per  via  del  naso  a  becco,  le  labbra  invisibili,  e  gli  occhietti  che  non

          sorridevano mai. A meno che non lo divertissero, e a volte io lo divertivo. Sai con
          quale stratagemma? Dicendogli che toccarlo serviva di più che toccare un corno di
          corallo,  che  allontanava  malanni,  disgrazie  e  pallottole.  Prima  di  partire  per  un
          viaggio rischioso andavo a sfiorargli un braccio, o le spalle («Una toccatina, Rizzoli,
          grazie!»),  e  gli  spilli  di  ghiaccio  si  disfacevano  nella  lusinga.  «Scimmia!»  Mi
          chiamava scimmia ma non rifiutava il ruolo di stregone, anzi di portafortuna. Solo

          una volta fece il difficile. Andavo in Cambogia, ed eran scomparsi molti giornalisti
          in Cambogia. Piombai nel suo ufficio e gridai: «Rizzoli, oggi devo toccarla in modo
          speciale».  Poi,  invece  di  sfiorargli  un  braccio  o  le  spalle,  gli  posai  la  mano  sul
          ventre. Balzò in piedi, arrossendo. «Scimmia insolente!» E per un secondo temetti
          che mi mollasse uno schiaffo. Ma non lo mollò: con le mani lui non sapeva picchiare,
          in  quel  senso  non  credo  che  abbia  mai  punito  nessuno,  del  resto  era  timido.  Non
          timido con la vita, timido con la gente. […]

               Le più belle intelligenze della letteratura e del giornalismo italiano son passate
          attraverso la Casa Editrice Rizzoli: e chi le scopriva, chi le agguantava, se non quel
          vecchio  saggio  che  si  divertiva  a  dire  King  Kong  invece  di  Hong  Kong?  Chi  ha
          pubblicato  le  enciclopedie  più  belle,  i  libri  d’arte  più  curati,  chi  ha  venduto  per
          cinquanta lire le edizioni tascabili di Tacito e di Platone, di Erodoto e di Cicerone,
          di Shakespeare e di Molière, di Gork’ij e di Tolstoj? […]

               Ma non era lui che sceglieva, mi si risponde, erano gli uomini che lui assumeva.
          E  ti  pare  poco?  Voglio  dire,  essere  un  tale  conoscitore  di  uomini?  Annusava
          l’intelligenza, come la vita. Un battito di ciglia e: «Lei mi va bene». Oppure: «Lei è
          un bel cretino, sa?». […]
               Arrivava in ufficio alle otto di mattina e ne usciva solo alle otto di sera.  Una
          volta ce lo sorpresi di festa. Mi affacciai alla porta e lo provocai: «Rizzoli, lavora
          per metter da parte i soldi della vecchiaia». Lampeggiò quegli occhietti di ghiaccio e

          ribatté:  «Scimmia,  io  lavoro  per  non  morire».  Se  non  lavorava,  moriva.  Se  era
          stanco  o  malato,  i  medici  diagnosticavano:  «Soprattutto,  non  impedirgli  il  lavoro.
          Peggiorerebbe le sue condizioni». […]
               Cosa vuol dire grand’uomo? Io non lo so. Potrebbe anche darsi che volesse dire
          un uomo così.   53
   70   71   72   73   74   75   76   77   78   79   80