Page 68 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Posso dire quello che ho visto dal momento che sono stata colpita. C’erano nella
piazza all’incirca cinque, seimila studenti, assolutamente tranquilli, assolutamente
pacifici. È arrivata a un certo punto la delegazione dei ferrocarilleros, degli operai
delle ferrovie, e anche questo in grande ordine. Non c’è stato nessun episodio che
potesse provocare quest’irruzione pazza, violenta. Un ragazzo dell’università, uno
studente del consiglio nazionale dello sciopero, stava parlando alla folla neanche in
termini infiammati, stava informandoli che da lunedì gli studenti intendevano iniziare
uno sciopero della fame. A questo punto un elicottero ha incominciato a volare sulla
piazza, sempre più basso e poi a gettare dei bengala. Sembrava il Vietnam. Nel giro
di circa un minuto, forse mezzo minuto, i camion dell’esercito hanno completamente
circondato la piazza da tutte le parti. Sono scesi, io credo, a centinaia, sparando
nello stesso momento in cui saltavano giù dai camion, sparando sulla folla. Io ero
nella terrazza dell’edificio da cui loro parlavano, e lo stesso momento in cui
l’esercito è piombato giù dai camion sparando e massacrando, sono piombati su
questa terrazza, prima una quarantina, poi un’ottantina di poliziotti, in civile, con la
rivoltella puntata, sparando su di noi, gettandoci contro il muro, gridando che
eravamo detenidos. 44
Venivo dal Vietnam, sì. Venivo dall’Offensiva del Tet, dall’assedio di Huè, dalle
battaglie di Dak To e di Da Nang e di Tri Quang. Ero abituata alle esplosioni, alle
sparatorie, al sangue, come alle sigarette. Eppure non credevo ai miei occhi. Perché
lì non ero alla guerra, mi spiego? Ero in una città che stava per inaugurare le
Olimpiadi e… Quei ferrovieri che cadevano con le loro bandiere. Uno dopo l’altro,
a catena. Quelle vecchie che ruzzolavano a capofitto giù per la gradinata. Quei
bambini che correvano terrorizzati. E quel bambino che prima d’essere a sua volta
ucciso urlava al ragazzo tagliato in due da una raffica di mitra: «Umbertooo! Que te
han hecho, Umbertooo?!?». […]
Mi agguantarono per i capelli. Mi scaraventarono contro il muro, mi picchiarono.
Poi, come agli studenti, mi ordinarono di stendermi per terra e a loro volta adagiati
per terra (ma sotto il muretto del davanzale, quindi al riparo) presero a puntarmi le
rivoltelle. Il dito sul grilletto. Poi, quando fui colpita dalle pallottole, mi lasciarono
lì a sanguinare. 45
Quando mi entrò la pallottolina nella schiena pensai: «Se non muoio, resto
paralizzata». E sentii una gran paura. E quando mi entrò nella gamba pensai: «Se non
muoio dissanguata, resto senza una gamba». E sentii una gran paura. 46
Soltanto a buio, per le insistenze di un giornalista tedesco («Capitán, no es una
estudiante, es Oriana Fallaci la ecritora y periodista») mi tiraron via. Come?
Riagguantandomi per i capelli e trascinandomi giù per le scale come un sacco di
patate, sicché a ogni gradino il mio corpo batteva sulle ferite. Per le scale un giovane
soldato mi rubò l’orologio. Si chinò e me lo sfilò dal polso. Ridendo. Fuori, sempre
ridendo, altri due militari mi lasciarono per terra. Dove? Nel punto da cui cadevano