Page 63 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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negozio di scarpe è ancora senza luce. Il padrone ha messo in vetrina sei paia di
scarpe, tutte grinzose, accartocciate, e il prezzo: «Lire 500, prezzo di svendita». La
vetrina è illuminata da tre ceri da chiesa. E nel mezzo c’è un vasino con una rosa. Un
altro ha allineato le saponette francesi, le vende a cinquanta lire l’una. E un cartello
dice: «Son sempre saponette francesi, dopotutto». Ci ho parlato. Mi ha detto: «Io non
voglio elemosine da nessuno. Ho battuto i’ culo cento volte al Porcellino, e ho
riaperto il mi’ negozio». (Al Porcellino, dove c’erano le bancarelle coi cappelli di
paglia, esiste una lapide. E qui nel Medio Evo facevano battere il sedere cento volte
ai falliti, per punizione. Chi ha perso tutto si chiama ora «Culo-blu».) Il fatto squisito
è che questi fiorentini non hanno perso per niente il senso dell’umorismo. Ridono su
sé stessi, su quel che è successo. Ti dicono: «Poeraccio, l’è anche lui un culo-blu,
capirà…». Non hanno perso nemmeno l’orgoglio. In Por Santa Maria arrivò un
camion tedesco, con le provviste. Lo guidava un tedesco di mezza età. Lo
circondarono e gli chiesero: «In dove l’era lei quando i su’ compatrioti minavano
questa strada?». Il povero tedesco, confuso, balbettava. E loro: «Via di qui,
perdio!». Mio padre dice che è un episodio atroce, e si arrabbia coi fiorentini, io lo
trovo squisito. […] Sono passata dinanzi agli Uffizi dove non si respira per il puzzo
(anche dinanzi agli Uffizi l’argine non esiste più, svanito). Sono stata in Piazza del
Duomo e sembra di tornare indietro vent’anni. Le porte del Ghiberti non sono più
d’oro, sono di carbone. Nere come il carbone. Due mancano. E la cosa sublime, e
patetica, è che qualcuno ha ripulito la testina del Ghiberti che si affaccia scolpita dal
terzo pannello del Paradiso: e così in tutto quel nero vedi questa testina d’oro del
Ghiberti che guarda allibita. Passava un vecchino. S’è fermato, l’ha guardato, e ha
detto: «Hai visto i che t’ha fatto il Signore Misericordioso? Tu durasti tanta fatica a
scolpirgli il paradiso e Lui t’ha dato l’inferno. O’ bischerooo!». Guarda, non hai che
aprire gli occhi e gli orecchi, e un libro è fatto.
E poi sono passata da Santa Croce e qui ti vengono gli incubi che non fanno
dormire. L’acqua, qui, arrivò fino ai secondi piani e stagnò così a lungo che fino ai
secondi piani è rimasta una lacca rossa (sembra sia il Kerosene che era mischiato
all’acqua) e non va via. Capisci? Sembra sangue. E quel bagno di sangue ti insegue
anche quando vuoi dimenticarlo. Diventa un’ossessione. Sono un’ossessione anche
gli arbusti che sono rimasti attaccati ai lampioni, alle persiane. Sul tetto di una
casina c’è, ritto, un angelo di legno dorato. Nessuno sa a chi appartiene, chissà da
dove venne, con la corrente, e loro lo lasciano lì, sul tetto: «Almeno l’è estetico».
[…]
Bargellini, il sindaco, ha avuto un infarto cardiaco per la rabbia e il dispiacere.
È a letto e qui manda patetici comunicati che vengono attaccati sui muri: «Miei cari
cittadini, non state in pensiero. Sto bene. Sono stato male ma ora sto bene. Lavate,
lavorate, ripulite. Saluti dal vostro sindaco». Perbacco: la civiltà non si inventa in
cent’anni. 34