Page 66 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Sanh. Era una minuscola vallata sotto l’assedio di migliaia e migliaia di
nordvietnamiti da mesi. Come a Dien Bien Phu. Lì si moriva come io fumo le
sigarette, e il guaio era arrivarci. Perché gli aerei e gli elicotteri non si fermavano,
una volta atterrati. Aprivano lo sportello posteriore continuando a correre poi
risalivano, e mentre correvano bisognava buttarsi e rotolare in trincea. 36
Io chiamavo eroi gli astronauti. Ma che eroismo ci vuole a sbarcar sulla Luna con un
margine di sicurezza del novantanove virgola novantanove per cento, con una
astronave collaudata fino all’ultimo bullone, seguita senza sosta da migliaia di
tecnici, scienziati, strumenti infallibili pronti a venire in tuo aiuto? E se va male lo
stesso, se sulla Luna ci muori, che eroismo ci vuole a morire dinanzi agli occhi del
mondo, mentre tutto il mondo ti ammira e ti esalta e piange per te? No: l’eroismo, lo
capisco qui, non è il vostro, amici astronauti. È quello del vietcong che va ad
ammazzare e a farsi ammazzare, scalzo, in nome di un sogno. È quello del soldato
che crepa solo come un cane in un bosco, mentre va all’assalto di una collina di cui
non gli importa nulla. È quello di una ragazza o di un bonzo che si danno alle fiamme
rischiando di essere ridicolizzati con un estintore. 37
L’ho raccontato nel mio libro Niente e così sia. È una testimonianza della violenza
della guerra, dell’orrore, dell’inutilità, dell’imbecillità della guerra, vista da vicino,
giorno per giorno, da una persona che ne è al di fuori e allo stesso tempo partecipe.
È una cosa che tutti conosciamo, ma che dimentichiamo. Ma il libro vuole essere
anche ed è, alla fine, nelle sue conclusioni, un estremo atto di fede nell’uomo.
Perché, quando si vede quello che io ho visto, e tutti quelli che sono stati nel
Vietnam, abbiamo visto, il massacro, l’assassinio, il crimine della guerra, quando si
è visto tutto questo, non ci si può non credere nell’uomo, perché se non ci si crede,
se non lo si difende, se non lo si ama, si torna a casa e veramente si tirano le bombe
ai bambini. 38
***
A Saigon ci tornai nel 1975, naturalmente, ma ne ripartii qualche giorno prima che i
vietnamiti arrivassero: temevo di restare intrappolata per tre o quattro o sei mesi.
[…] Non lo feci soltanto per Alekos, lo feci anche e soprattutto per mia madre. Stava
già male, la mamma, a quel tempo, e tutti pensavano che sarebbe morta molto presto,
e io non mi sarei mai perdonata se fosse morta senza rivedermi perché m’ero lasciata
intrappolare a Saigon per tre mesi o sei. Fu molto duro per me rinunciare a vedere i
nordvietnamiti e i vietcong che entrano marciando in via Tu Do. Fu duro, dopo aver
fatto sette anni di Vietnam. Fu un sacrificio grosso. Oh, Cristo! Grosso! Ma i
pochissimi che rimasero, due o tre americani, due o tre francesi delle agenzie,
rimasero intrappolati come temevo e… E io dovevo fare una scelta. E quel sacrificio
fu una scelta… fu una scelta d’amore. 39