Page 62 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Firenze anno zero














          Il Lungarno Corsini, il Lungarno Archibusieri, la scesa del Ponte a Santa Trinità, via
          de’ Bardi, e… non esiste più nulla. Nulla. Cancellato, svanito, sparito. Non esiste
          più la spalletta dell’Arno, non esiste più il lungarno, non esiste più la strada, capisci,
          non esistono più le case.  Sono rimasti solo i piani superiori, puntellati da enormi
          travi  piantate  nell’acqua.  Come  se  una  mano  in  vena  di  macabri  scherzi  avesse

          portato via una ditata di torta da un piatto, così. L’acqua lambisce quei buchi, quel
          vuoto, come se niente lì fosse mai esistito, capisci, come se non ci avessimo mai
          camminato; i bombardamenti […] non fecero tanto. Almeno dopo i bombardamenti,
          qualcosa restava, le macerie, i sassi; qui no. Non è rimasto neanche il fumo. […] Il
          Ponte Vecchio, lo scintillio, la civiltà, la bellezza, la ricchezza di quei negozi? Non
          esistono più. Spazzati via, […] polverizzati. Cammini sul Ponte Vecchio e dalle parti
          vedi il maledettissimo Arno e niente altro, qua e là qualche buco con su il nome di un

          gioielliere. Sono rimasti, chissà perché, solo due negozi: orrendamente distrutti ma
          ancora negozi. Uno di argenteria e uno di cravatte. Quello di argenteria è ripulito,
          con qualche pezzo recuperato qua e là, patetico, e sotto un fiore c’è un cartello che
          dice: «Sorry, this is what we have. Please buy it». In inglese. Quello delle cravatte
          ha tutte le cravatte raggrinzite in vetrina, qualche borsa in pelle lavata, e un altro
          cartello, anch’esso in inglese, dice: «Please buy this flooded merchandise. Thank

          you». Fanno tutti così. Anche in Por Santa Maria, nei tre o quattro negozi di cui sono
          rimaste le mura.  Hanno messo su un tavolo, hanno lavato le poche cose che sono
          riusciti  a  recuperare,  e  le  vendono  così,  a  prezzi  irrisori,  prima  di  chiudere.  Io,
          sconvolta, entro in quei buchi e compro porcherie di cui non ho alcun bisogno: giusto
          per lasciare dei soldi. Un pacchettino di dieci cravatte è finito subito dopo nel fiume.
          Ma erano così contenti mentre le compravo. Dicevano, tutti premurosi: «Le si posson
          portare, sa? Le son sterilizzate e non puzzano mica tanto». Roba da rompere il cuore.

          Anche  a  scriverne  mi  viene  da  piangere.  E  ho  pianto  per  tutto  il  tempo  che  sono
          andata in giro per la città. […] Non è solo il disastro, è la dignità con cui questa
          gente  ha  affrontato  il  disastro. Alle  10,  11  di  sera,  sono  ancora  lì  e  ripuliscono,
          lavano, ripuliscono, uomini donne bambini, li vedi arrampicati su scale che grattan la
          nafta rimasta appiccicata sui muri, al soffitto, ostinati, silenziosi, cocciuti, decisi a
          vivere, sopravvivere; e tu non credi ai tuoi occhi. Voglio dire: la città è morta e loro

          si comportano come se fosse viva. Un coraggio, una forza che ti lascian smarrito. Un
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