Page 59 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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preda al panico, alla vergogna di apparir su uno schermo per soldi, pensando che si
trattasse davvero di una formalità, avevo firmato. A occhi chiusi. «Ma duecentodieci
dollari! Oltre due terzi del mio onorario! È pazzesco!» «Ah! Lei è stata fortunata,
carissima. A una signora inglese son rimasti solo sei centesimi. Lo chieda
all’AFTRA.»
Il direttore dell’AFTRA, signor Michael Sage, fu gentilissimo. Ebbe la bontà di
informarmi che per apparire in uno spettacolo, qualsiasi spettacolo, bisognava
appartenere a un sindacato dello spettacolo, e il miglior sindacato che un performer
potesse desiderare era l’AFTRA dove iscriversi costava appunto duecentodieci
dollari. «Ma io non sono un performer, signor Sage. Io sono un giornalista, uno
scrittore.» Pazientemente il signor Sage mi spiegò che molti giornalisti, molti
scrittori, erano anche performer, che insomma una attività non escludeva l’altra:
pensassi a Peter Ustinov, a Clara Boothe Luce. «Bè, io non voglio essere né Peter
Ustinov né Clara Boothe Luce. Io voglio soltanto i miei duecentodieci dollari.» Il
signor Sage sospirò, sempre più paziente: non sarei stata né Peter Ustinov né Clara
Boothe Luce, sarei stata me stessa. E certo l’emozione d’avere scoperto la vera me
stessa, il talento che nascondevo in me stessa, le virtù di un performer, mi impediva
di valutare gli immensi vantaggi di appartenere all’AFTRA. Impossibile continuare il
discorso. Mi avrebbe scritto una lettera. E l’indomani mi scrisse la lettera. Due fogli
amichevoli e pieni in cui cominciava chiedendo notizie sulla mia salute, continuava
narrandomi i negoziati che l’AFTRA stava facendo su piano nazionale, i congressi di
Washington, Chicago, Los Angeles, e concludeva chiedendomi altri venti dollari
tondi. Come sapevo, infatti, i duecentodieci dollari si limitavano all’iscrizione che
decadeva senza un contributo mensile. Che gli inviassi quindi altri venti dollari tondi
insieme al mio nome legale, il mio nome d’arte, la mia data di nascita, il nome di
mio marito o mia moglie, il nome dei miei bambini, la mia data di matrimonio per
controllare (suppongo) che si trattasse di bambini legittimi, il numero della mia
polizza di assicurazione sulla vita.
La mia risposta, lo ammetto, fu assai violenta.
Debuttava dicendo che non avevo polizza di assicurazione, non avevo moglie,
non avevo marito, non avevo bambini, non avevo un nome d’arte, avevo solo da
porgli una domanda: qualcuno m’aveva detto che i sindacati sono una cosa la quale
serve a difendere i lavoratori dai capitalisti ad esempio facendoli guadagnare di più.
Ammesso e non concesso che fossi un performer, in qual modo il sindacato dei
performer mi difendeva dai capitalisti: sottraendo con la frode i soldi che mi davano
i capitalisti? E chi mi difendeva dai sindacati che mi difendevano dai capitalisti?
C’era forse un sindacato cui potevo denunciare gli abusi del mio sindacato? «Signor
Sage, non le manderò i venti dollari. Perché se è vero che appartengo all’AFTRA, io
esco dall’AFTRA. E siccome esco dall’AFTRA rivoglio i duecentodieci dollari che non
ho mai accettato, mai, di versare.» La risposta alla risposta fu ancora più violenta.
Diceva: «Se ella non paga i venti dollari, ella vien meno a un impegno firmato e
questo sindacato si vede costretto ad agire nei suoi confronti per vie legali, inoltre a
confiscarle i duecentodieci dollari dell’iscrizione». Ho pagato i venti dollari.