Page 57 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Ritorno a New York
Sono tornata a New York e ho cambiato casa. La mia casa, ora, è al ventunesimo
piano di un grattacielo nello stesso quartiere […]. Non dico l’indirizzo sennò Jack
Jackson mi trova, ricordate Jack Jackson, il tipo che voleva farmi la pelle e per
questo comprai una Smith & Wesson calibro .38. Non dico nemmeno quello che
costa, la mia nuova casa, perché ogniqualvolta lo dico mi sento male e devo
chiamare il dottore. Anzitutto il dottore va prenotato con grande anticipo. Voglio dire
che non puoi averlo subito, appena ti senti male, devi indovinare quando ti sentirai
male e per quel giorno prenotare il dottore. Quando l’hai prenotato, attraverso la sua
segretaria, lui ti chiama e chiede cos’hai. Qualsiasi cosa tu abbia lui dice prenda
un’aspirina e ciò costa dieci dollari tondi. Quando hai preso l’aspirina e sei morto,
oppure sei guarito del tutto, cominci ad aspettare il dottore che il giorno fissato
arriva, con l’aria di farti un grande favore, e senza dirti cos’hai ti dà una ricetta: ciò
costa trenta dollari tondi. La ricetta la mandi al drugstore che non è una farmacia ma
un negozio dove si comprano calze di nailon, cartoline, balocchi, profumi francesi,
giornali, latte, gelato e oltre a essere un negozio è uno snack bar dove si mangia e si
beve. Passano alcune ore e il drugstore ti fa avere una boccettina sulla quale c’è
scritto soltanto il tuo nome e cognome e un per. Ad esempio: «Per Oriana Fallaci».
Dentro ci son tante pillole dai meravigliosi colori e non sai cosa sono. Non lo sai e
non lo saprai mai, né il dottore né l’uomo del drugstore ritengono che tu ne abbia il
diritto: ecco il motivo per cui non voglio chiamare il dottore e non dico quello che
costa la mia nuova casa. Dico solo che è una casa immensa per una persona sola a
New York: infatti è composta di ben due stanze e i servizi. L’ho subaffittata dalla
divorziata di Boston, una bionda che ci stava insieme alla figlia e che mi ha lasciato
i suoi mobili: tre lumi indiani, due poltrone di vimini a forma di uovo, un cassettone
cinese, un letto, un divano, un tavolino rotondo di ferro con tre sedie coloniali
dipinte di azzurro, l’arredamento normale, mi dicono, di una normale casa a New
York. La divorziata di Boston mi ha lasciato anche due bauli, trentasette fra vestiti e
cappotti, un numero indeterminato di scarpe reggiseni cappelli: il tutto ammassato in
mezzo al soggiorno insieme a un biglietto che diceva: «Prego consegnare al
sovrintendente». Ho chiamato il sovrintendente e poco dopo qualcuno ha aperto la
porta, è entrato in casa senza dire permesso: è lui che possiede le chiavi di ogni
appartamento e può entrare perciò quando vuole. Di giorno, di notte. Infatti ho