Page 53 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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volta e mezzo la statua della Libertà. Il suo peso è centodieci tonnellate: ottanta volte
          la  capsula  che  portò  negli  spazi  John  Glenn.  La  sua  voce  è  così  apocalittica  che
          quando sussurra qualcosa la terra trema per colline e vallate, le mura oscillano, i
          vetri  si  spaccano,  i  timpani  dolgono  fino  allo  spasimo.  Vi  sono  più  sordi  ad
          Huntsville che in qualsiasi altra parte del globo terrestre: molti, ormai condannati al
          perpetuo silenzio, emigrano con risarcimento statale e chi resta odia talmente la Luna

          che non alza mai gli occhi a guardarla, se per caso la vede ci sputa.           25


          Entro  nella  tuta  spaziale,  azionando  le  chiusure-lampo.  Il  dottore  mi  spiega:  «Le
          chiusure-lampo  sono  risultate  insufficienti:  perché  le  probabilità  di  salvezza
          sussistano  al  99,99  per  cento  è  necessario  abolirle  e  costruire  una  tuta  come  uno
          scafandro, senz’altra apertura che quella pel collo che poi sarà chiusa ermeticamente
          col casco di plexiglas. Chiaro?». Chiarissimo, dottore. «Vede dunque che qualsiasi

          fessura  sparisce.  Naturalmente  lei  si  rende  conto  che  la  tuta  spaziale  sarà  l’unico
          pezzo di terra che gli astronauti porteranno con sé, il solo mezzo per sopravvivere,
          una  fessura  invisibile  basterebbe  ad  esporli  alla  mancanza  dell’atmosfera.  In  tali
          condizioni il corpo incomincia a bollire e scoppia in pochi minuti. Ora, la prego,
          infili anche il casco.» Infilo anche il casco e il supplizio è totale. Un astronauta non

          può detergersi nemmeno il sudore degli occhi, se gli pizzica il naso non può neanche
          grattarlo: davvero ci vogliono nervi d’acciaio per non grattarsi un naso che pizzica.
          Così  torno  dal  dottor  Morris,  gli  dico  la  storia  del  naso  che  pizzica,  e  il  dottor
          Morris  s’inquieta:  «Quello  succede  anche  ai  palombari»  risponde.  «Il  peggio,
          semmai, è il rumore dentro la tuta, un rumore incessante che viene dagli apparecchi
          di  ossigenazione,  pressurizzazione,  raffreddamento,  essiccamento,  un  rumore  che
          annulla tutti quelli esterni, e se cessa è la fine. La riserva di ossigeno dura appena
          cinque minuti, ad esempio. Inoltre la tuta dev’esser leggera, se non è leggera non è

          maneggevole: questa leggerezza la rende fragile e il minimo colpo contro una roccia
          può bastare a strapparla. L’assurdo è che l’unico mezzo per non morire è un mezzo
          che basta da solo ad uccidere.» L’assurdo, aggiungo, è che l’unico mezzo per non
          morire è un mezzo che non permette di annusare, toccare, odorare: permette solo di
          guardare attraverso una barriera di vetro.       26



          Gli astronauti americani sono 28 e credo che siano ben pochi quelli con i quali non
          ho avuto la fortuna di lavorare, tanto è vero che Se il Sole muore è dedicato a mio
          padre ed anche a loro. A mio padre che non vuole andare sulla Luna e ai miei amici
          astronauti  che  vogliono  andarci  perché  il  sole  potrebbe  morire.  Conosco
          particolarmente gli astronauti del progetto Gemini, quelli che stanno andando nelle
          missioni quest’anno.

               Innanzitutto è gente che studia moltissimo, studia di giorno, di notte, a casa, in
          allenamento,  sono  tutti  ingegneri  laureati  in  ingegneria  astronautica,  studiano
          geologia,  matematica,  fisica,  biologia,  e  non  soltanto  studiano,  sono  sottoposti  ad
          allenamenti  severissimi,  nel  deserto,  nella  giungla,  hanno  un  orario  d’ufficio  da
          condannati ai lavori forzati.
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