Page 97 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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tiene: per anni. Chi aveva in mano o credeva di avere in mano la gemma, gli abitanti

          dell’isola, si offendono: no? E odiano la svedese, la nordica, che ha commesso il
          furto.
               Devo dire che io non sono mai stata troppo cordiale con chi oggi è così geloso di
          me. Ma la colpa non è tutta del mio carattere: era Alekos che mi diceva di non essere
          troppo  cordiale  con  la  gente  intorno  a  lui  perché  altrimenti  se  ne  sarebbero
          approfittati.  Non  faceva  che  ripetermi:  «Non  fidarti  di  nessuno.  Non  credergli

          quando si presentano come miei amici. Io non ho amici». E io, anche per contentarlo,
          mi  tenevo  un  poco  distante.  Non  duravo  fatica,  sia  chiaro.  Non  avevo  nulla  in
          comune con loro. Non mi piacevano molto. E non li stimavo molto. C’era una corte
          intorno ad Alekos che gli mostrava molta devozione. Ma io non ho mai creduto a
          quella devozione, fuorché in pochi casi. E anche in quei casi era una devozione nata
          dalla  mitomania.  Amavano  la  celebrità  di  Alekos.  Non  amavano  Alekos  e  non
          potevano  amarlo  veramente  perché  non  potevano  capirlo  veramente.  E  amare

          significa anche capire.


          Sul comportamento della famiglia
               Nel  comunicato  che  ho  fatto  ai  giornali  ho  detto  che  ogni  atto  deve  essere
          giudicato secondo la cultura o mancanza di cultura di chi lo commette, l’educazione

          o mancanza di educazione di chi lo commette. Mi pare che in queste parole ci sia
          tutto. Ho anche aggiunto, è vero, che in base alla cultura o non cultura, educazione o
          non educazione, le cose vanno perdonate. Ma la frase seguente chiarisce che io non
          so perdonare. Mi è difficile perfino capire. E non si può perdonare se non si può
          capire. Specialmente quando non vi è nulla da capire.
               Non  dirò  ciò  che  avrei  da  dire  a  meno  di  non  esservi  costretta.  E  se  vi  sarò
          costretta, sarà terribile: perché ho troppo da dire. E questo troppo potrebbe far male

          alla memoria di Alekos. Quindi mi limiterò ad osservare che non sempre coloro che
          portano un nome sono degni di questo nome.
               In quel sorprendente comunicato era scritto che io parlavo di Alekos per farmi
          pubblicità.  Che  schifo.  Che  pena.  Che  ignoranza.  Una  donna  che,  come  me,  deve
          sempre difendersi dalla pubblicità ed evitarla, non ha certo bisogno di parlare di un
          morto per far sapere che esiste. Si dimentica con troppa disinvoltura chi sono: vale a

          dire una donna famosa in tutto il mondo. Famosa molto prima di conoscere Alekos. I
          miei tre anni con Alekos non hanno giovato alla mia notorietà. Anzitutto perché io e
          Alekos ci tenevamo molto appartati: non volevamo passare alle cronache come la
          coppia  Elizabeth  Taylor-Richard  Burton  della  politica.  Eravamo  tutti  e  due  molto
          segreti,  molto  rispettosi  della  nostra  privacy,  ed  eravamo  molto  consapevoli  del
          nostro ruolo di persone il cui nome conta e fa notizia. (Parlo, [è, N.d.R.] evidente,
          dei Paesi in cui Alekos era conosciuto: la Grecia, l’Italia, parte dell’Europa.) Poi

          perché durante quei tre anni il mio lavoro è passato in seconda linea e quindi sono un
          poco scomparsa dalla scena. Finché è durato il suo esilio in Italia, sono stata sempre
          con lui. Non ho viaggiato più, non ho più fatto grossi reportages, ho dimenticato di
          avere una casa e un ufficio a New York, visto che non gli era stato concesso il visto
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