Page 104 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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ridusse. Con l’urbanizzazione, le case in città più piccole, la famiglia si ridusse nel
senso che si liberò dei nonni e degli zii e dei cugini e dei cognati: divenne un nucleo
composto solo dai genitori e dai figli. Nella società superindustriale tecnologica, la
famiglia si è ridotta ancora di più e ha partorito il tipo umano dello scapolo e della
nubile. Il quale è diventato caratteristico soprattutto fra i nomadi come me: la gente
senza fissa dimora. Io sono senza fissa dimora: ho una casa in America, ho una casa
in Italia, ho tante case sparse nel mondo che sono rappresentate dagli alberghi in cui
vivo e ho vissuto per anni. E in tale situazione come si fa a legarsi a una persona, a
fare una famiglia? Mi si dirà che anche i marinai prima si facevano una famiglia: ma
questo perché dall’altra parte c’era la donna schiava ubbidiente che restava ferma.
L’uomo non accetta un simile ruolo.
Io paradossalmente credo che il personaggio della nubile sia più frequente oggi
del personaggio dello scapolo perché lo scapolo può conciliare le due cose, avere il
partner che se ne sta fermo: la nubile invece no. Per l’arroganza del maschio.
Ciò non significa che io sia una farfallona, come Alberto Sordi. E neanche che
viva priva di affetti come lui. Cominciamo col dire che sono una donna seria, fedele
di natura e che l’affetto di un uomo non mi è mai mancato. Quando dico infatti che
non sono mai stata sposata, avverto come la sensazione di dire una menzogna. Senza
l’intervento del prete o del sindaco, lo sono stata e lo sono. In senso morale,
affettivo. Poi magari ho divorziato e mi sono risposata. Però non sono stata sposata
con la convivenza continua che caratterizza il matrimonio. Perché? Vi sono ragioni
parallele: difficile dire quale sia più importante dell’altra. Una è quella storica:
essendo un nomade di natura e di scelta, non potevo e non volevo fissare una fissa
dimora. L’altra è che non volevo e non potevo rinunciare alla mia libertà. Mi
risponderai che gli umani hanno bisogno di un rapporto totale e duraturo. Ma io
questo rapporto ce l’avevo: ed era la famiglia creata da mio padre e mia madre: la
quale esaudiva quel bisogno di rapporto totale e allo stesso tempo non mi
schiavizzava. I genitori ti lasciano scappare, ti lasciano andare e venire: un marito
no.
Io ho provato a vivere maritalmente col mio compagno. O meglio, ci sono stata
costretta da alcune circostanze: peraltro abbastanza nobili. Impazzivo lentamente.
Non ce la facevo proprio. E devo dire che ce la faceva male anche lui, perché in
questo siamo uguali: in questa sete di indipendenza. Ce la faceva male anche lui
sebbene lui si prendesse la fetta migliore del dolce: quella più comoda. Badare alla
casa toccava a me, e a fare da mangiare eccetera. Lui non faceva un cavolo. Ma più
di questo mi schiacciava questa convivenza obbligata: sentirselo lì anche quando
stava zitto o dormiva. Dividere il telefono ad esempio. Non avere segreti! Quando
poi le circostanze della vita ci hanno fatto tornare ai nostri rispettivi indirizzi, o
meglio lui al suo e io ai miei, tutto ha ripreso ad andare splendidamente. Eravamo di
nuovo due creature libere: libere anche di amarci, non obbligate ad amarci perché
vivevamo insieme. Potevamo esercitare la nostra personalità, senza tiranneggiarci a
vicenda. E allora mi dirai: che rapporto è questo? È un matrimonio il vostro, è una
famiglia? Toffler dice di sì. Perché ho dimenticato di dirti una cosa: allo stesso