Page 105 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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modo in cui questa società tecnologica, transitoria, questa società che va in fretta, ci
fa incontrare più alla svelta e ci separa più alla svelta, ci riunisce anche. Insomma le
separazioni non sono mai, o non sono necessariamente, separazioni definitive.
L’aeroplano che ci ha fatto incontrare, ci fa incontrare di nuovo: e così diventiamo
una unità a distanza che fisicamente si scompone per ricomporsi di nuovo e poi per
scomporsi di nuovo. Io credo che il matrimonio sia una cosa da vecchi. Nel mio
libro Lettera a un bambino mai nato ho scritto che la maternità è una cosa da
vecchi. Ora aggiungo che il matrimonio è una cosa da vecchi.
Di tutti i libri che ho scritto, solo due sono fiction: Penelope alla guerra e
Lettera a un bambino mai nato. Tutti e due hanno per protagonista una donna. E in
tutti e due si tratta di una donna non sposata ma con un legame. La cosa più
straordinaria è che, se li leggi con attenzione e anche senza attenzione, ti accorgi che
nessuna delle due parla mai di sposarsi. Nessuna delle due lo desidera. Inventando
storie altrui insomma il mio subcosciente non mi ha tradito: no, no. Ha confermato
quello che dico. Dev’essere proprio spontaneo in me questo non vederlo nemmeno il
matrimonio.
A me dà fastidio questo senso del possesso che c’è nel matrimonio: questa palla
al piede che ti impedisce di correre e saltare e arrampicarsi sugli alberi. Ed è inutile
che io berci tanto contro i padroni, il padrone Stato, il padrone Chiesa, il padrone
capitale, se poi accetto un individuo padrone che si chiama marito. Non voglio
essere padrona di nessuno, io, e allora perché lui deve essere padrone mio? Io non lo
controllo ma non voglio essere controllata. Non lo spio ma non voglio essere spiata.
Naturalmente questo modo di vivere e di pensare richiede una grande disciplina
e una grande serietà. Sennò si diventa tutti e due due cialtroni, due farfalloni che
saltano da un letto all’altro. È una sfida, la mia, è un sacrificio, ma è anche una
grande scuola di disciplina e di serietà. […]
E poi c’è la faccenda del nome. Per lo meno in questa nostra civiltà occidentale.
Non è che io abbia un bel cognome, e poi neanche quello è mio, è di mio padre
eccetera. Però l’idea di rinunciare al mio nome mi ha sempre disturbato. Fin da
bambina. Lo giuro. Cioè prima che il mio nome diventasse noto. È curioso: uno, mi
pare, si sente meno menomato a prendere o veder imporre il nome del padre che a
prendere o vedersi imporre il nome dell’uomo che sposa. Anche se è una scelta
adulta e consapevole. Ti fa sentire annullata. Ti fa sentire una proprietà. Proprio
come gli schiavi dell’antica Roma i quali prendevano il nome del padrone. […]
La donna nubile, e l’uomo scapolo, sono i tipici prodotti di una società in
cambiamento e senza dubbio sono i prodotti della società del domani. Vale a dire,
una società tecnologica che, proprio per la sua natura tecnologica, cambia le strutture
della società. Attraverso quali mezzi? Le comunicazioni, ad esempio. Senza contare
il lavoro, anzi i tipi di lavoro che sono anche il risultato di un nuovo modo di
comunicare. È ovvio infatti che in una società dove le distanze sono diminuite
attraverso i mezzi di comunicazione come l’aereo (e anche l’automobile) e dove i
Paesi non sono più lontani fra loro – insomma una società mobile –, gli incontri sono
più numerosi e più brevi. Io che abito a Bari incontro te che abiti a Milano, oppure