Page 47 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Grandi Piogge, mi guardai bene dall’arrabbiarmi. Risposi che ci avrei pensato.

               E ci pensai. Ero disposta a rinunciare alle Grandi Piogge piuttosto che partire
          senza  credere  in  quel  reportage.  Per  molti  mesi,  infatti,  sembrò  proprio  che  vi
          rinunciassi. Poi accadde un episodio imprevisto. Una ragazza che conosco da tempo
          mi  invitò  a  cena,  e  a  metà  della  cena  scoppiò  a  piangere  dicendo  che  era  molto
          infelice. Era una ragazza di molto successo: indipendente, bellina, con una casa dove
          può far quel che vuole, un mestiere dove riesce meglio degli uomini; insomma una di

          quelle ragazze di cui la gente dice che son fortunate ed hanno tutto ciò che una donna
          può  chiedere.  La  gente,  e  io  per  prima,  non  sospettava  davvero  che  essa  potesse
          sentirsi infelice. E per consolarla le rammentai ciò che aveva. «Quanto sei scema»
          singhiozzò lei soffiandosi il naso. «Mi lamento proprio di quello che ho. Ti senti più
          felice all’idea di poter fare ciò che fanno gli uomini e divenire magari presidente
          della Repubblica? Dio, quanto vorrei essere nata in uno di quei Paesi dove le donne
          non contano nulla. Tanto, il nostro, è un sesso inutile.»

               Il  discorso  mi  turbò  un  poco.  E  come  un  tale  che  non  si  ricorda  di  avere  le
          orecchie  perché  ogni  mattina  se  le  ritrova  al  suo  posto,  e  solo  quando  gli  viene
          l’otite si accorge che esistono, mi venne in mente che i problemi fondamentali degli
          uomini  nascono  da  questioni  economiche,  razziali,  sociali,  ma  i  problemi
          fondamentali  delle  donne  nascono  anche  e  soprattutto  da  questo:  il  fatto  d’essere
          donne.  Non  alludo  solo  a  una  certa  differenza  anatomica.  Alludo  ai  tabù  che

          accompagnano  quella  differenza  anatomica  e  condizionano  la  vita  delle  donne  nel
          mondo. Nei Paesi mussulmani, ad esempio, nessun uomo ha mai nascosto la faccia
          sotto un lenzuolo per uscir nelle strade. In Cina nessun uomo ha mai avuto i piedi
          fasciati e ridotti a sette centimetri di muscoli atrofizzati e di ossa rotte. In Giappone
          nessun uomo è mai stato lapidato perché la moglie ha scoperto che non era vergine.
          (Si dice così per un uomo? Vedete: non esiste nemmeno la parola.) Però tutte queste
          cose accaddero e accadono ancora alle donne. Fu così che mi accorsi come l’idea

          del  mio  direttore  non  fosse  affatto  balorda,  e  come  sarebbe  stato  interessante
          avvicinare le donne degli altri Paesi, e capire se sono più felici o infelici della mia
          amica che si soffiava il naso in modo così sconsolante. Quando venne l’inverno e le
          Grandi Piogge finirono, risposi al mio direttore che ero pronta a partire.
               Allora studiammo l’itinerario.  Perché, intendiamoci, cosa significa fare il giro

          del mondo?  Se prendete il discorso alla lettera, significa recarsi in ogni angolino
          della  terra,  dalla  Lapponia  al  Sud  Africa,  dalla  Nuova  Caledonia  all’Alaska:
          sinceramente  questo  era  un  po’  troppo.  Prima  che  finissimo  un  simile  giro,  gli
          astronauti sovietici sarebbero arrivati su Venere e avrebbero scoperto le venusiane e
          l’interesse  per  le  donne  del  nostro  pianeta  si  sarebbe  già  estinto.  Inoltre  io  non
          volevo scrivere un libro di etnologia e raccontare come le esquimesi cuociono la
          carne di foca o come le consorti dei cacciatori di teste riducono alla grandezza di un
          uovo la testa di un esploratore imprudente. Volevo solo percorrere un lungo tratto di

          terra  che  mi  consentisse  di  studiare  tutte  le  situazioni  possibili  in  cui  vengono  a
          trovarsi  le  donne,  per  colpa  loro  o  di  certi  tabù.  Così  decidemmo  che  la  cosa
          migliore era ripetere, all’incirca, il viaggio di Phileas Fogg. Dall’Italia sarei passata
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