Page 42 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Ungheria, morte della libertà














          Non sono riuscita a entrare a Budapest. Non ho visto la città straziata, né i corpi dei
          gerarchi comunisti penzolare impiccati dagli alberi di piazza della Repubblica. Non
          ho  visto  le  donne  di  Budapest  piangere  sui  figli  morti  in  combattimento,  ferme
          dinanzi  ai  cadaveri  circondati  di  candele.  Ma  ho  passato  due  volte  la  frontiera
          ungherese, per due volte mi sono spinta nel Paese più martoriato d’Europa, quando

          ormai più nessuno osava avventurarsi laggiù. E, sabato 3 novembre [1956, N.d.R.],
          ho visto qualcosa che è più tragico, e disperato, degli spettacoli orrendi di Budapest.
          Ho visto morire, per la seconda volta, la libertà ungherese. Ho visto la cortina di
          ferro calare per la seconda volta su un popolo eroico. Ho visto i carri armati russi
          puntare le loro mitragliere su creature inermi. Ho seguito il dramma dei miei colleghi
          giornalisti sequestrati dai sovietici. Ho assistito alla sconfitta senza rimedio dei miei
          amici ungheresi.   4



          Ho visto un rivoluzionario di Budapest a cui i comunisti dell’AVH hanno tagliato la
          lingua. Ho visto i profughi arrivare carponi fra i campi, inseguiti dalle fucilate dei
          russi, e li ho interrogati mentre, ancora sporchi di fango, si accasciavano al di qua
          della frontiera. Ho visto i ragazzi che distruggevano i carri armati sovietici, e non

          erano più ragazzi, ma sconcertanti creature rugose. Ho ascoltato la radio degli insorti
          mentre  un  interprete  sconvolto  mi  traduceva  frase  per  frase.  Sono  tornata  a
          Hegyeshalom dove non c’erano più il professor Hollo e la partigiana Ludmilla ma
          soldati ungheresi che hanno rimesso la stella rossa alle mostrine dell’uniforme e al
          berretto.  Sono  entrata  per  sbaglio  in  territorio  cecoslovacco,  insieme  ad  alcuni
          colleghi,  e  sono  fuggita  mentre  dalle  torrette  di  guardia  i  soldati  cecoslovacchi
          puntavano  i  fucili  a  cannocchiale  verso  di  noi.  Sono  fuggita  lungo  un  viottolo,

          badando bene a non mettere i piedi nei campi perché i campi sono pieni di mine.
          […] Ed ho capito che il mondo è in pericolo, e quella che chiamavamo la seconda
          «belle époque» sta per finire.
               Forse gli orrori ai quali assistiamo ci impediscono di considerare le cose nella
          loro giusta misura. Ma mi sembra che non ci sia più posto, nel nostro interesse di
          uomini e donne consapevoli, per gli amori dei divi, gli scandali mondani, le prime

          cinematografiche alle quali si va in smoking e décolleté.          5
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