Page 43 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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L’antipatica
Detesto cenar con gli attori e anche farci solo merenda; il timore poi che mi invitino
perché dedichi loro due righe di pubblicità mi avvilisce, mi umilia. 6
Ovunque si parla di loro, ovunque si discute di loro, delle loro gesta, dei loro amori,
delle loro corride, delle loro poesie, dei loro gol, della loro musica, dei loro comizi,
dei loro film, dei loro miliardi, della loro miseria, e la loro celebrità è così vasta,
così rumorosa, così esasperante che ci ossessiona, ci tormenta, ci soffoca al punto da
farci esclamare: «Dio che rompiscatole! Dio che antipatici!». Spiego ciò, prima di
qualsiasi altra cosa, non per chiedere scusa a qualcuno di un titolo per cui non devo
chieder scusa a nessuno: ma per chiarezza verso coloro che leggono e verso gli
stessi antipatici, quasi sempre simpaticissimi. Lo spiego inoltre per prevenire una
domanda che ad alcuni brucerebbe la lingua: perché, fra gli antipatici, non mi ci son
messa anch’io. Non mi ci son messa perché non sono celebre e di conseguenza sono
simpatica. Rompo le scatole, è vero: ma non le rompo facendo parlare di me, dei
miei amori, delle mie corride, delle mie poesie, dei miei gol, della mia musica, dei
miei comizi, dei miei film, dei miei miliardi, della mia miseria. Le rompo
raccontando che le rompono gli altri: come risulta da queste interviste. […]
Se far parlare la gente nota è snervante, farla parlare dinanzi a una macchina che
registra ogni pausa o sospiro è nel cinquanta per cento dei casi drammatico. La
presenza di un microfono imbarazzava all’inizio anche me. Saper che era lì
equivaleva a sentirsi spiati, giudicati, ridicoli: non di rado, guardandolo,
l’intervistato sbiancava o si inceppava con grave offesa alla sintassi e al buon senso.
Se non si inceppava, taceva. Se non taceva, allagava con un caos di parole il
microfono e, mentre il nastro girava inesorabilmente, io mi struggevo nel pensiero
del poi. Il momento peggiore era poi: quando riascoltavo reticenze e diluvi per
tradurli in discorsi normali, ritratti. Ascoltare una persona che parla non è come
riascoltarla attraverso una macchina: ciò che odi quando hai un volto davanti non è
mai ciò che odi quando davanti hai un nastro che gira. Uno scintillare di occhi, un
agitarsi di mani rende a volte accettabile la frase più idiota: ma senza quelle mani,
quegli occhi, la frase si denuda in tutta la sua sconcertante idiozia. Al contrario un
naso sgradevole, un atteggiamento dimesso svalorizzano a volte la frase più ricca:
ma senza quell’atteggiamento, quel naso, la frase riacquista tutta la sua consolante