Page 29 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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studiare sei anni ancora. Dovevo andare a lavorare: per pagare le tasse, per
mantenermi. E ben presto apparve evidente che non si può allo stesso tempo avere un
lavoro e frequentare una facoltà impegnativa come quella di medicina. 31
Non divenni mai medico, ahimè. Non terminai mai gli studi di medicina. Di fatto finii
per aderire all’opinione di mio zio secondo cui le università trasformano in idioti
anche i più intelligenti. Non mi laureai. Le uniche lauree che ho sono quelle honoris
causa. Ma la vera ragione per cui lasciai medicina è che […], all’epoca, le
università non erano gratuite come oggi. Uno doveva pagarsi da sé il proprio
cammino verso la laurea (motivo per cui solo i ricchi o i più ricchi accedevano a
certe professioni). La facoltà di medicina era la più costosa e la mia famiglia era
tutto fuorché ricca. Così, per mantenermi all’università, incominciai a lavorare come
reporter per un giornale: dalle 8,30 del mattino alle 5,30 del pomeriggio in
università e dalle 5,30 del pomeriggio fino alle 3 di notte circa al giornale.
Rincasavo sul furgoncino della prima edizione e quando mi svegliavo alle 7 mi sarei
messa a piangere per quanto avevo sonno. In diciotto mesi arrivai a pesare
trentaquattro chili. 32
Costretta a una scelta tra la medicina che per molti anni ancora non mi avrebbe dato
da vivere e un lavoro che già mi dava da vivere, scelsi il lavoro. […]
Lo feci con qualche rimpianto, ma non troppo. Già ad anatomia, in fondo, m’ero
resa conto che quello non era un mestiere per me. La vista dei cadaveri mi dava
fastidio, dissezionare un piede o una mano o un pezzo di volto mi turbava
profondamente. In più lo studio della medicina richiedeva uno sforzo mnemonico di
cui non ero capace, e presto mi accorsi che una vita regolare e pianificata non era
propria del mio carattere, inquieto per natura.
Io volevo vedere il mondo, volevo viaggiare, conoscere gente diversa. Quella
della medicina era una scelta sbagliata perché non sostenuta da una vocazione
schietta. Solo da una ammirazione profonda per quello studio e quel mestiere, in più
da una sorta di venerazione che avevo sempre provato (e provo ancora) per la
scienza di cui non capivo nulla. Senza dubbio, se avessi insistito, se avessi superato
i timori e le incertezze dei 16 e dei 17 anni, se non mi fossi distratta subito coi
giornali, se avessi avuto il denaro necessario, sarei riuscita a diventare un medico.
E, in tal caso, un buon medico. Perché, in sostanza, sono sempre riuscita a portare in
fondo ciò che volevo veramente fare. E a farlo bene. Ma dubito che sarei stata una
persona felice, completa. 33