Page 33 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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          Nel 1954, mi pare, mi stancai di stare a Firenze. Misi poche cose dentro un’unica
          valigia e, senza avere la minima idea di dove sarei andata ad abitare, presi il treno
          per Roma. Qui mi stabilii in una cameretta d’affitto e vissi un anno: scrivendo per
          «L’Europeo»  di  fatti  romani.  Era  il  periodo  splendido  di  Roma,  quello  di  via

          Veneto, dei divi americani che ci venivano in pellegrinaggio.
               Scrivevo in massima parte di queste cose, spesso frivole, ma sempre viste da me
          con  un  sopracciglio  rialzato.  La  mia  severità  non  si  addiceva  a  quell’ambiente.
          Gravava sulla mia formazione il periodo partigiano. […]
               Ero  piena  di  critiche  e  di  delusioni  per  un  mondo  che  interpretavo  soltanto
          attraverso  la  sua  superficialità.  Interpretazione del  tutto  giovanile,  ovvio,  e  anche
          poco profonda. Ma i giovani sono spesso superficiali perché non indulgenti. Come

          dice  Pietro  Nenni,  i  giovani  credono  sempre  che  il  mondo  incominci  con  loro.
          Comunque fui contenta di lasciare Roma quando, un anno dopo, venni chiamata alla
          redazione  milanese  de  «L’Europeo».  Milano  non  mi  aveva  mai  sedotta  però  mi
          sembrava  una  città  seria,  rispettabile.  Mi  stabilii  a  Milano  e  vi  rimasi  otto  anni.
          Milano non era per me una città allegra. Però in quegli anni viaggiai molto. E questo
          era ciò che volevo. A viaggiare, del resto, avevo incominciato molto presto: da sola.

          A  18  anni  ero  stata  in  Inghilterra,  in  Irlanda,  in  Francia:  «per  vedere».  E  anche
          perché ci tenevo a conoscere i Paesi che, sotto il fascismo, mio padre citava sempre
          come «i Paesi della democrazia». Io non avevo conosciuto la democrazia. Ero nata
          quando Mussolini era già al potere da tempo e, sotto la sua dittatura, ero cresciuta.
               Abitando come base a Milano, viaggiavo molto per «L’Europeo». Nel 1955 fui
          per  la  prima  volta  negli  Stati  Uniti.  Nel  1956  fui  in  Ungheria  per  scrivere
          dell’insurrezione  ungherese.  (Non  giunsi  mai  a  Budapest,  però.  Venni  fermata  dai

          russi presso Gyor.) E poi fui in tutti i Paesi d’Europa, altre volte negli Stati Uniti
          dove scrissi il mio primo lungo reportage a puntate: Hollywood vista dal buco della
          serratura. E, mi pare nel 1960, feci il mio primo giro del mondo: per scrivere delle
          donne.  Fui  in  Medio  Oriente,  in  Oriente.  Ne  cavai  un  lungo  reportage  (Viaggio
          intorno alla donna)  e  poi  il  libro Il sesso inutile.  La  conoscenza  dell’inglese  mi
          aiutava molto.  Conosco l’inglese fin da bambina; il francese invece l’ho imparato

          molto  più  tardi,  da  sola.  E  anche  un  po’  di  spagnolo.  Il  tedesco  lo  ignoro
          completamente. E così le altre lingue. Salvo una dozzina di parole indispensabili in
          vietnamita.  42


          È  grazie  a  «L’Europeo»  (e  ai  giornali  stranieri,  visto  che  la  mia  firma  è  sempre
          apparsa sui giornali più prestigiosi del mondo) che ho potuto vivere come un tarlo

          dentro  la  Storia.  Vivere  la  Storia  nell’attimo  stesso  in  cui  essa  si  svolge.
          Testimoniare  le  nefandezze  della  guerra  e  le  porcherie  della  pace.  Conoscere  e
          raccontare chi sono i personaggi o non-personaggi che avendo vinto la lotteria del
          potere decidono il nostro destino.      43
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